Ascolto nella relazione educativa

“ L’ascolto dona a chi è ascoltato la possibilità di ascoltarsi” – M. Bellet

Il filosofo greco Zenone ( V sec.a.c.) diceva che l’uomo ha due orecchie e una sola bocca, per ascoltare di più e parlare di meno.
Fin dai tempi antichi , quindi, le varie scuole di pensiero filosofico attribuivano all’ascolto una valenza educativa di primaria importanza.

Il linguaggio umano è nato come linguaggio orale; anche il bambino impara, nei primi anni di vita a parlare prima che a scrivere.
Si impara spontaneamente ad ascoltare  e a parlare e sia l’uno che l’altro aspetto della comunicazione sono legati da uno stesso rapporto.

Chi parla non deve mai dimenticare chi ascolta e deve dare all’altro il modo di esprimersi, rispettando il suo punto di vista, stimolandolo anche con eventuali domande, ecc. Esiste, perciò una stretta reciprocità tra parola e ascolto.

Nella comunicazione il monologo, basandosi sull’individualismo, è prevalentemente incentrato sulla propria persona, non esiste un feed-back e si evidenzia nella trasmissione del messaggio una insita volontà di condizionamento e persuasione.

Il dialogo, invece, si basa sulla relazione comunicativa e pone le basi per uno scambio paritetico di informazioni, inoltre mira a una disponibilità al cambiamento e a una parità di “potere” comunicativo tra gli interlocutori.

Mentre nel monologo la comunicazione diventa un cerchio chiuso, nel dialogo, poiché non si instaurano barriere o pregiudizi, la comunicazione si arricchisce, diventando una relazione educativa dinamica.

Una comunicazione efficace non è mai a senso unico.
Chi ascolta deve essere disponibile e interessato; l’ascolto, quindi, diventa attivo e partecipativo. Mentre il sentire è un’azione fisiologica  l’ascolto comporta un coinvolgimento emotivo e cognitivo.

Dagli studi statistici è stato rilevato che nei processi di comunicazione la maggior parte del tempo viene dedicato all’ascolto.
Spesso, tuttavia, l’ascolto si rivela un atteggiamento di tipo passivo come dimostrano le ricerche della Società Italiana di Pediatria.

Attualmente circa l’86% del tempo libero dei bambini è dedicato alla televisione e sul campione di intervistati il 58% afferma che “non ha nient’altro da fare”; in media il tempo che trascorrono davanti alla TV raggiunge le tre ore giornaliere ( spesso essi mangiano o si addormentano guardandola).

La televisione non è certamente un interlocutore ma un apparecchio che trasmette messaggi spesso non idonei sul piano educativo.
Un’altra indagine riportata dall’Osservatorio sui Diritti dei Minori ci riferisce che i genitori italiani dedicano 18 minuti al giorno per dialogare con i figli, meno di quanto lo facciano altri paesi europei.

Questi dati ci dimostrano che il tempo dedicato all’ascolto attivo e alla comunicazione efficace risultano molto limitati.
Gli studi sulla comunicazione hanno portato Thomas Gordon a sviluppare con un approccio integrato la psicologia rogersiana.

Egli scrisse un programma per i genitori e per gli insegnanti  (“Genitori efficaci” e “ Insegnanti efficaci”) evidenziando una delle condizioni necessarie per lo sviluppo integrale della persona cioè  l’attitudine all’ascolto.

Circa cinquanta anni fa Alfred Tomatis, otorinolaringoiatra francese fece una serie di studi che poi portarono allo sviluppo del metodo che da lui prese il nome.
Nel grembo materno l’orecchio è il primo organo ad essere del tutto funzionale quando il feto ha soltanto quattro mesi di vita e questo testimonia che l’attività uditiva è il primo anello che lega l’individuo all’ambiente esterno e alle sue sollecitazioni.

L’audiopsicofonologia  e i suoi metodi trova numerose applicazioni in ambito scolastico con alunni che manifestano problemi cognitivi e comportamentali come la dislessia, deficit di attenzione o iperattività. Il metodo Tomatis sviluppa la pedagogia dell’ascolto allo scopo di liberare le potenzialità della persona risvegliando in essa il desiderio di ascoltare prima di tutto se stessa.

Una specie di “regressione” per imparare a seguire il flusso di una efficace comunicazione e favorire un migliore adattamento dell’individuo all’ambiente sociale in cui vive.

E forse, non a caso, osservando la forma rannicchiata di un feto riusciamo a cogliere l’analogia con la particolare struttura dell’orecchio umano.
L’ascolto attivo si basa sull’empatia e sull’accettazione  ed è un processo strettamente collegato con la consapevolezza di sé e degli altri poiché riguarda la metacomunicazione, cioè gli aspetti psicologici e personali che possono valorizzare il semplice trasferimento di informazioni.

L’ascolto non è attivo quando:
–    si ascolta ciò che si vuole sentire
–    si pensa a cosa si dirà, non concentrandosi su ciò che sta dicendo l’interlocutore
–    si riferisce tutto quanto si ascolta alla propria esperienza
–    si snobba o si accantona quanto viene detto perché ritenuto di poca importanza
–    si esprime accordo accettando passivamente ogni cosa che viene detta
–    si cambia troppo rapidamente argomento mostrando disinteresse

Nell’ambito scolastico la comunicazione  deve necessariamente seguire delle regole che permettano all’insegnante e agli alunni un proficuo scambio di informazioni.

Anche le espressioni del volto e i gesti trasmettono e amplificano il messaggio educativo, per questo guardare chi parla è un segno di disponibilità e di apertura  che richiedono tuttavia anche un controllo emotivo tale da frenare gli atteggiamenti istintivi e creare un clima sereno in cui gli alunni possano trovare lo spazio necessario per esprimere le proprie opinioni senza sentirsi esclusi dalla relazione educativa.

Non esistono genitori  e insegnanti  ideali e perfetti ma un primo passo che ognuno può fare è quello di valorizzare l’ascolto di se stessi per poi imparare ad ascoltare gli altri instaurando un rapporto di empatia e di accettazione.

 

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