Attenzione al come parlare ai bambini

L’altra sera, è capitato di vedere, per caso, come a molti telespettatori, la puntata de “La tv delle ragazze”, dove alla fine è andato in onda uno spot, dove l’attrice, nelle vesti di una fatina parla a sei bambine sedute in un parco.

I bambini intraprendono un dialogo con la fatina che risponde alle bambine che chiedono: «Ma davvero sei una fata». La risposta è: «Siii, sono la fata dei giardinetti in mezzo al traffico», risponde lei. «Che bello!», esclama una graziosa bambina. Mentre il dialogo procede non può non colpire l’avvertimento della “fatina” alla domanda di una bambina: «Che cos’è la cosa così importante?», «Bambine, ricordatevi sempre che gli uomini sono dei pezzi di merda!» «Anche il mio papà?», chiede una delle bimbe. «Soprattutto il tuo papà», conclude e ribadisce la fatina.

Per quanto la fatina abbia voluto avvertire i bambini di una cruda realtà, di cui le cronache evidenziano senza scrupoli al mondo dei grandi e dei piccoli; pedofilia, violenza psicologica sui minori ecc… .

Non ha considerato, a mio avviso, la psicologia del bambino che apprendendo per generalizzazione deve mettere in crisi il valore genitoriale paterno; il papà una merda. Ma cos’è il principio della generalizzazione più volte citato dalla psicologia evolutiva? La generalizzazione è un processo mentale che favorisce l’apprendimento di una nuova abilità, informazione, conoscenza per utilizzarla in situazioni diverse da quella in cui è stata insegnata. Una informazione, un messaggio veicolato dalla fatina, ha una presa sul bambino, sa di ingiunzione a “non fidarsi” generalizzata dell’uomo e, sottolineando del papà.

Ogni realtà deve essere analizzata per la sua specificità, diversamente il bambino generalizza. Non tutti i papà sono merda, come non tutti gli uomini sono cattivi. Cosa lede del bambino un messaggio del genere? È questa una violenza psicologica? Da psicologo e psicoterapeuta non posso non riflettere sulla pericolosità delle ingiunzioni e sulle possibili decisioni che fanno seguito alle ingiunzioni. Nel filone della psicoterapia ideata dallo Psichiatra Eric Berne, fondatore della analisi transazionale, l’idea di fondo è che nel corso della crescita si hanno varie interazioni con i genitori e le figure significative (tipo fatina), comunemente dette caregiver che veicolano messaggi, su modi essere, di pensare e di fare.

Quando questi messaggi sono positivi, vale a dire rispondono ai bisogni del bambino di carezza, di protezione, di riconoscimento stimolano la fiducia in se stessi e l’autostima, se invece non rispondono ai bisogni menzionati si configurano come negativi, creando così le premesse per delle difficoltà relazionali e/o stili di vita (copioni) limitanti e infelici. Ricordiamo che i messaggi, nella psicologia transazionale di Eric Berne sono chiamano ingiunzioni e contro-ingiunzioni. In base ad essi il bambino che li riceve si forma delle idee, su di sé e sul mondo (idee o opinioni di copione) e sulla base di queste adotterà delle decisioni (decisioni di copione) che lo porteranno a scegliere il suo futuro.

E’ interessante osservare un possibile elenco di ingiunzioni che gli psicologi, Bob e Mary Goulding, analisti transazionali, hanno identificato e su cui hanno prevalentemente impostato il loro lavoro terapeutico. Le ingiunzioni identificate da loro, sono: Non. Non essere. Non entrare in intimità. Non essere importante. Non essere un bambino. Non crescere. Non avere successo. Non essere te stesso. Non essere sano di mente. Non star bene in salute. Non fare parte. Non sentire. Non pensare. Sono messaggi che veicolano inibizione al modo di essere, di fare e di pensare.

E’ chiaro che nella visione dell’analisi transazionale i messaggi per fare presa nella mente del bambino necessitano di una ripetitività di un’autorità che li emette, come genitori e fatine. Diciamo che una ingiunzione diventa una convinzione, una credenza, una opinione, quando il bambino la fa propria, e si convince che le cose stanno proprio così. Nel caso in esame, il papà è da non fidarsi e l’uomo è una merda.

Allora quello che dovrebbe essere un principio educativo, nell’accrescere il pensiero discriminativo del bene e il male e a mettere in guardia, si configura, indirettamente, come senso di sfiducia negli affetti più prossimi. Non sono del parere di rendere dorato sempre il mondo al bambino, ma ogni caso è a se e il pericolo è nella generalizzazione.

Se ogni genitore, ogni figura significativa, educativa, nella relazione cercherà di manifestare e comunicare protezione, affetto, sostegno, intimità sicura aiuterà il bambino a sviluppare quel potere di discriminante tra cose buone e cose cattive che lo porterà, in virtù della fiducia accogliente del genitore a poterne parlare di un proprio disagio.

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