Il bullo e la vittima si differenziano per molti aspetti personali e temperamentali oltre che per stile educativo ricevuto.
La famiglia del bullo tende ad un uso coercitivo della forza fisica e della punizione, è scarsamente supportiva, non partecipativa della vita emotiva del figlio; la famiglia della vittima invece tende ad essere iperprotettiva.
Dal punto di vista comportamentale e temperamentale osserviamo andature completamente differenti con uno stile attivo-reattivo del bullo ed uno passivo-subente della vittima.
Insomma bullo e vittima sembrano due mondi distinti e separati, senza somiglianze.
In realtà bulli e vittime "sembrano essere uniti da una sorta di analfabetismo emotivo e socio-cognitivo, pur camminando su sentieri che mai si incontrano" ( Fonzi).
Cioè, sia il bullo che la vittima partirebbero da una comune difficoltà emotiva e socio-cognitiva, con scarsi livelli di autoefficacia, con grosse difficoltà di gestione ed espressione delle emozioni, e con scarse strategie di coping.
La differenza sta nel modo in cui vittima e bullo scelgono di rispondere a queste difficoltà; la prima in modo passivo-ansioso-remissivo, il secondo il modo aggressivo-attivo-reattivo.
Questa scelta di fronteggiamento deriva in parte dallo stile temperamentale ed in parte dall’educazione ricevuta, dal modeling dell’adulto di riferimento.
Ne consegue che, a fronte di comuni difficoltà, nascono comportamenti e atteggiamenti differenti e ne conseguono rischi diametralmente opposti.
I bulli persistenti hanno probabilità di diventare antisociali in adolescenza, mentre le vittime persistenti mostrano una tendenza ad abbandonare la
scuola e diventare depresse (Fonzi).