Buon senso come guida al controllo dei social

Il terzo millennio è caratterizzato dalla tecnologia avanzata: tv di alta generazione, tablet e smartphone con processori velocissimi, computer con memorie sempre più capienti.

Il tutto per veicolari informazioni a più non posso; per attuare più operazioni contemporaneamente, vedi multitasking; ma soprattutto per accogliere proiezioni di desideri e bisogni insoddisfatti, come ad esempio il gusto di apparire, di mettersi in mostra (Riccardi P. Psicoterapia del cuore e beatitudini ed. Cittadella 2018). Chi è nato in epoca pre digitale tende a giudicare questa tecnologia pericolosa ed inutile.

Per chi, più giovane e avvezzo ad essa, ha un parere opposto. Per i nativi digitali (termine coniato per la prima volta dallo scrittore Mark Prensky nel 2001, per la generazione di nati dopo il 1985, anno di diffusione di massa del pc), le considerazioni sono neutre in quanto non c’è parametro di differenza tra il prima e il dopo. 

È soprattutto in chi ha la possibilità di fare la differenza la responsabilità di veicolare corrette informazioni a riguardo.

È l’Antropologia Cristiana che ci fa un appunto sull’importanza di conoscere la realtà delle cose, quella realtà che ci rende più consapevoli e più capaci di autogestione di se: “la verità vi farà liberi” «Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv 8, 31-32). Liberi nel non essere utilizzati, assorbiti, contaminati dai congegni multimediali o dai social ma di sfruttarne le potenzialità, come esempio avere informazioni su una strada, fare un ricerca scolastica, acquistare un prodotto introvabile, inviare una pec/mail, seguire una videoconferenza o parlare in video con il parente all’altro capo del mondo.

Ci sono nuove evidenze scientifiche meno catastrofiche. L’American Academy of Pediatrics (AAP), molto attenta al fenomeno ha emanato, sempre sulla base di evidenze scientifiche, una serie di suggerimenti per il migliore utilizzo dei diversi media e social, condivisi dalla popolazione americana degli psicologi (APA). Tra i suggerimenti rientra quello della responsabilità dei genitori che, secondo gli esperti, dovrebbero focalizzare la loro attenzione sul porre dei limiti orari al loro utilizzo.

In seconda battuta la pianificazione del tempo non deve essere utilizzato come premio o punizione o come modalità per tenere tranquillo il bambino per non essere disturbati.  Ancora sulla responsabilità dei genitori, gli esperti concordano, sempre sulla base di evidenze scientifiche, che inferiore ai 18 mesi i bambini non dovrebbero utilizzarli.

La stimolazione necessaria al neonato di 18 mesi è inerente il senso dell’accoglienza, il senso della cura, della premura ma soprattutto del contatto fisico con la madre protettiva. Sono queste condizione che strutturano il senso dell’esistere per l’altro e il senso della fiducia di base (E. Erikson, I cicli della vita. Continuità e mutamenti ed. Armando, 2000).

Solo successivamente dai 18 ai 24 mesi, nella fase di esplorazione del bambino per le sue nuove qualità prensile acquisite, di rudimentali conoscenza di direzione dei suoni, dei primi concetti di caldo- freddo, vicino- lontano, grande- piccolo, pensiero-azione, si può prendere in considerazione un approccio alla tecnologia attraverso prodotti di alta qualità educativa sempre in collaborazione della presenza genitoriale; dai 2 ai 5 anni sono sconsigliati i giochi, con cambi di immagini veloci, contenuti violenti o presenza di finestre pop-up.

Superate queste fasi di età sono maggiormente all’angolo i rischi che possono derivare da un uso prolungato, non veicolato dalla presenza genitoriale, di congegni altamente sofisticati, come lo smartphone o tablet di nuove generazioni. Rischi, secondo le evidenze scientifiche, che compromettono il libero e spontaneo movimento, obesità, attenzione selettiva, per finire problematiche più serie riguardo, il mondo dei più grandi come la dipendenza da internet addiction, la condivisione di foto più o meno esplicite al sexting, cyberbullismo, hikikomori, scarsa difficoltà nelle relazioni nel mondo reale e depressione.

A sostegno di ciò i ricercatori della AAP e APA, hanno eseguito una ricerca su di un campione di circa 4mila ragazze e ragazzi, di età media di 12 anni e durata 4 anni, nel valutare le ore passate davanti ai diversi schermi, dal computer alla tv (in riferimento a programmi non culturali e informativi) dallo smartphone al tablet.

Sottoposti periodicamente a verifica con questionari di autovalutazione hanno denunciato una serie di sintomi dalla depressione, alla tristezza, dal senso di inutilità fino ai pensieri suicidi. Al termine dello studio, è emerso che per ogni ora in più davanti alla tv () o ai social crescono i sintomi depressivi, mentre per computer e videogame non è stata vista questa associazione.

Il motivo che spiega queste differenza secondo uno degli autori dello studio, Elroy Boers, è che i Social media e la Tv, propongono aspettative di grandiosità e perfezione che espongono gli adolescenti ad un confronto irreale con immagini e altre persone con corpi perfetti o con uno stile di vita eccitante, facoltoso e in mostra. In realtà comunicazioni che fanno presa sul bisogno di ogni adolescente di evadere, andare oltre.

I consigli degli esperti, dettati dalle evidenze scientifiche e dal buon senso, suggeriscono di non limitare la conoscenza e l’approfondimento delle tecnologie e strumenti social per non essere tagliati fuori dal sistema, ma contemporaneamente limitare il tempo e aumentare la capacità di dialogo in vis a vis. Agli adulti spetta il compito di queste giuste direttive.

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