Capire l’iperconnessione nella mente dei teenager

Inutile confermare come la cultura digitale stia modificando i nostri comportamenti; sempre più orientati con gli occhi sullo smartphone, sempre più attenti a percepire il bip della notifica di qualche messaggio postato o ricevuto che sia.

Conseguenzialmente al comportamento si associa sempre un modo di pensare, di essere di cui la cultura digitale sta influenzando oltre misura (vedi articolo di P. Riccardi: Dall’Identità all’autolesionismo del 30 settembre).

E se fosse colpa dello stile di vita?

Del 17 giugno 2018 in questo articolo.

Siamo condizionati sempre più dalla cultura del digitale. Abbiamo l’obbligo di capire tale influenza, non solo sul mondo degli adulti ma soprattutto sul mondo dei teenager che sono, per natura bio-fisio-psicologica in fase evolutiva.

Sfugge di mano agli adulti la comprensione di nuovi strumenti educativi per prevenire ed educare al rispetto di se, degli altri e del prossimo che passa attraverso il sano rispetto e di cui la cultura antropologica cristiana ha fatto riferimento: “Figli, obbedite ai vostri genitori nel Signore, perché questo è giusto! Padri, non esasperate i vostri figli, ma fateli crescere nella disciplina e negli insegnamenti del Signore!” (Efesini 6,1.4) (P. Riccardi “ogni vita è una vocazione per un ritrovato benessere” ed. Cittadella Assisi, 2014).

Nell’era digitalizzata genitori e figli entrano in un contrasto di comunicazione e incomprensione dove la fuga diventa il mondo del virtuale che promette una evasione nella fantasia. Tipico del bambino che frustrato nei suoi bisogni fugge nell’amichetto immaginario parlando da solo.

Un meccanismo di difesa psicologica di psicoanalitica memoria. Scene viste e riviste di famiglie a tavola distratti dallo smartphone, scene di ragazzi che fanno i compiti con gli occhi rivolti alla chat con gli amici. Distratti dal cellulare. Sempre più corriamo il rischio di essere isolati, assenti, distanti gli uni gli altri.

Più volte, come psicoterapeuta, ascolto genitori che elencano una serie di ulteriori conflitti allorquando, nel tentativo di prevenire, sequestrano il tablet o lo smartphone. «Dottore da quando ho sequestrato il cell, mio figlio non mi parla». È un dato da comprendere che sempre più siamo tutti presi dal digitale.

Per iniziare un vero approccio di dialogo e comprensione, di ascolto e prevenzione corre d’obbligo che ogni genitore comprenda in prima persona come il digitale influenzi, non solo la mente, ma i rapporti con i figli. Attenzione, cari genitori, non è facile perché richiede una prima fase di consapevolezza dei propri limiti e delle proprie risorse.

Attenzione genitori, perché potrebbe sembrare imbarazzante ammettere di essere in prima persona presi dall’iperconnessione, o al contrario presi da un eccesso di ignoranza tecnologica dove magari il figlio adolescente ne sa di più.

Cari genitori, ammettiamo un fatto incontrovertibile e scientifico, smartphone, chat e social influenzano la mente dei ragazzi, e non solo, perché essi passano la stragrande maggioranza del tempo nella realtà virtuale e poco in quella reale. Definiamo questo tempo di evitamento vis a vis. Generazioni del passato sono cresciuti con il gioco vis a vis, con uno stile di vita rivolto ad un ambiente teso più alla comunicazione che alla distrazione dell’ognuno per conti suoi.

In poche parole, genitori, creiamo un ambiente sostitutivo comunicativo e non oppositivo non comunicativo. Privare, sequestrare, limitare non ha senso. Comportamenti, questi che appartengono alla logica del proibizionismo, del doverismo e non del rispetto dei bisogni del figlio e dell’altro. La cultura del proibizionismo, iniziata negli anni trenta non ha dato poi gli effetti sperati.

Al contrario ha strutturato opposizione al diniego. Non sono gli strumenti o la tecnologia di per se negativa, ma la mancanza di modelli. Inutile spulciare manuali e guide su come parlare con i figli se mai iniziamo. Abbiamo bisogno di tempi di comunicazione soprattutto quando vediamo vagare in casa il proprio figliolo alla ricerca di non so che. Diciamo che noi stessi genitori e adulti siamo il modello educativo.

È tutto il nostro essere e non la conoscenza razionale dei problemi ad essere influente. L’esempio emblematico è nel secondo libro dei Maccabei’, (Antico Testamento) della Bibbia, dove al capitolo 6, si legge: “Un tale Eleazaro, uno degli scribi più stimati, uomo già avanti negli anni e molto dignitoso nell’aspetto della persona, veniva costretto ad aprire la bocca e ad ingoiare carne suina.

Ma egli, preferendo una morte gloriosa a una vita ignominiosa, s’incamminò volontariamente al supplizio, sputando il boccone e comportandosi come conviene a coloro che sono pronti ad allontanarsi da quanto non è lecito gustare per brama di sopravvivere» con queste parole si nota un uomo che tiene fede ai suoi principi e per essi lotta con tutto se stesso in coerenza per i giovani (P. Riccardi “psicoterapia del cuore e Beatitudini ed. Cittadella Assisi, 2018).

Parafrasando “Da buon intenditori poche parole” da buon genitore più comunicazione visi a vis.

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