Il linguaggio rappresenta da sempre l’atto principale della comunicazione che, tuttavia, nel corso del tempo si è profondamente trasformata.

Spesso comunichiamo senza avere di fronte l’interlocutore e soprattutto tra i più giovani il linguaggio è diventato sempre più scarno e limitato. Le ricerche in questo campo mettono in evidenza una carenza strutturale del bagaglio di conoscenze personali in quanto solo il 10 per cento della popolazione usa in modo corretto l’italiano.

Se nelle epoche passate il linguaggio era ampolloso e ricercato perché esso era uno strumento di comunicazione basato su regole precise, oggi il pensiero digitale ha trasformato l’astrazione in concretezza operativa.

L’avvento delle moderne tecnologie ha cambiato radicalmente il modo di comunicare e i giovani non sono più disposti a impiegare del tempo per elaborare un pensiero critico e riflessivo. Il linguaggio per concetti è diventato un linguaggio finalizzato all’azione e quindi più frammentato ed essenziale.

Anche le emozioni purtroppo viaggiano su canali comunicativi mediati da incisivi e frettolosi sms che vengono usati in modo esagerato dai giovanissimi. Le parole spesso contratte del gergo adolescenziale sono l’emblema della trasformazione in atto e spesso in questo contesto si perdono aspetti importanti che riguardano il significato delle parole stesse, quelle parole che dovrebbero sostenere concetti e stimolare il pensiero argomentativo.

La povertà del linguaggio è dovuta anche alla perdita dell’interesse per la lettura che richiede non solo tempo ma concentrazione e attenzione. La conoscenza non è un atto di pura utilità ma il desiderio di ampliare i propri orizzonti di libertà e consapevolezza.

Dalle parole di Socrate: “La filosofia non serve a nulla, dirai; ma sappi che proprio perché priva del legame di servitù è il sapere più nobile”.