DALL’ALTRA PARTE DELLA STRADA

La strada è affollata, i negozi aperti, una giornata di festa, dove il tempo a disposizione finalmente  non è tiranno, non corrode la possibilità di camminare lentamente, consentendo agli occhi di vedere ciò che accade intorno.

Il marciapiede non è di quelli stretti, possono transitarci comodamente tre pedoni, una coppietta mano nella mano è costretta a fermarsi, innanzi a loro c’è un capannello di ragazzi che sbarra il passo, parlottano e ridacchiano, mani in tasca e gambe larghe.

I due giovani chiedono sottovoce di potere passare, educatamente interrogano il gruppetto dei nuovi “frontalieri”, ma questi persistono a comandare alle orecchie di non udire, al corpo di informare quelli dietro del pericolo incombente.

Dall’altra parte della strada osservo la scena, la coppia retrocede qualche passo, stralunata si guarda intorno, poi riprova a superare l’ostacolo, ma non resta che la ritirata strategica, la fuga come  salvezza al famigerato diverbio che potrebbe fare male.

E’ un film già visto troppe volte, potrebbero sembrare accadimenti di poco conto, ereditati dalla diseducazione e indifferenza.

Ma alcune cose destano attenzione, proprio perché è  andata bene e non è successo nulla.

I deliranti, espressione di umanità nord sahariana, sono ancora là, a  contemplare la forma di razzismo ribaltato, che ben disegna il filo spinato di certe periferie mentali.

La trasgressione, la devianza, la criminalità, sono componenti significative che stracciano il vissuto di una persona, fino a costringerla a rimanere all’angolo della propria disumanità.

Su quel marciapiede invece è avvenuto qualcosa di diverso, più strisciante e maleodorante nella sua pericolosa quotidianità sub-culturale.

Per alcuni interminabili momenti quel marciapiede è diventato una sorta di terra di nessuno, teatro denuncia sulla differenza tra una frontiera che invita a scoprire territori inesplorati, a condividerne la promessa, e il confine che separa lo spazio di vuoto e di pieno, dove i ruoli si capovolgono e si fronteggiano, deprivati della necessaria attenzione per il prossimo.

Adesso su quel marciapiede non c’è più nessuno, forse non è accaduto proprio un bel niente, sono io che ho esagerato a interpretare le gestualità, amplificandone i toni, i contenuti, forse i pre-giudizi mi hanno giocato un brutto tiro.

Eppure ho la sensazione che in quella ostinata-ottusa presa di posizione, oltre la maleducazione, ci sia  svelata la minaccia per un  grande assente ingiustificato, in quella prassi comportamentale che consegna ai giovani la visione di ciò che è dentro ogni regola da rispettare, attraverso quella politica alta, che esplicita il suo valore nel salvaguardare i più deboli e i più esposti, persino chi non ha intenzione di cambiare le dis-abitudini quotidiane, quelle che intaccano le libertà di ognuno.

di  Vincenzo Andraous
Tutor e Responsabile
Centro Servizi Interni
Comunità  Casa del Giovane Pavia

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  1. max ha detto:

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