I casi di violenza nelle scuole non chiamateli bullismo

Due recenti fatti di cronaca, il ragazzo accoltellato da un compagno in una scuola italiana e il giovane che progettava una strage negli usa, ci impongono una riflessione sulla violenza a scuola e una netta distinzione tra questa ed il bullismo.

Troppo spesso vedo confondere questi due aspetti, nelle pagine dei quotidiani, nei servizi in tv.

Accoltellare un compagno non significa essere un bullo, significa semmai essere autore di un premeditato reato, significa essere un soggetto antisociale, con disturbo della condotta.

Questo certo può essere l’esito di una antecedente e prolungata condotta aggressiva con i pari, di un fallito processo di adattamento al contesto sociale e al mondo scuola, di bullismo.

Ragazzi senza validi modelli educativi, inseriti in contesti educativi di tipo reattivo/aggressivo o figli di genitori non autorevoli, fans dei propri figli o intimoriti dagli stessi; genitori incapaci di dire no, di limitare, condurre ed accompagnare verso l’acquisizione di codici morali, empatia e tolleranza della frustrazione.

Ragazzi del « tutto e subito »; ragazzi che devono sentirsi forti e vincenti; ragazzi prepotenti, autocentrati, narcisisti.

Torniamo a dire No.

Torniamo a fare i genitori, ad essere modello ed esempio per questi figli.

Senza i vecchi autoritarismi, ma sicuri e disponibili. Capaci di accogliere e fungere da base sicura ma al contempo capaci di limitare e contenere.

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