Il Bullismo – Introduzione al fenomeno

Negli ultimi anni il termine bullismo è comparso frequentemente nelle cronache dei giornali e della televisione.

Ma è solo agli inizi degli anni Settanta che si è dato avvio allo studio sistematico del fenomeno; per diversi anni questi tentativi sono stati per lo più limitati alla Scandinavia.

Verso la fine degli anni Ottanta e gli inizi degli anni Novanta, tuttavia, il bullismo è stato oggetto di attenzione da parte sia dell’opinione pubblica che degli studiosi in diverse nazioni, tra cui Giappone, Regno Unito, Olanda, Canada, Stati uniti e Australia.

Alla fine degli anni Sessanta e agli inizi degli anni Settanta, in Svezia, l’opinione pubblica ha iniziato a prestare attenzione ai problemi relativi al fenomeno del bullismo ( Heinemann, 1972; Olweus, 1973a ) e tale attenzione si è diffusa rapidamente negli altri paesi scandinavi.
Alla fine del 1982, un giornale riportò che tre ragazzi norvegesi, di età compresa tra i dieci e i quattordici anni, si erano suicidati a causa di una grave forma di bullismo perpetrata nei loro confronti da un gruppo di coetanei.

La risonanza di tale notizia in qualche modo sollecitò nell’autunno del 1983 il Ministero della Pubblica Istruzione ad avviare una campagna nazionale contro il bullismo nelle scuole elementari e medie della Norvegia.
Si può definire il bullismo nel modo seguente : uno studente è oggetto di azioni di bullismo, ovvero è prevaricato o vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle azioni offensive messe in atto da parte di uno o più compagni (Olweus, 1973b).

Il termine italiano bullismo è la traduzione letterale della parola “bullying”, termine inglese usato nella letteratura internazionale per connotare il fenomeno delle prepotenze tra pari in un contesto di gruppo. Originariamente nei paesi del Nord Europa sono stati usati i termini di “mobbing” (Norvegia e Danimarca) e “mobbning” (Svezia e Finlandia). La radice dei due termini scandinavi è “mob”, il cui significato si riferisce ad un’azione iniziata e portata avanti da un gruppo.

È stato Olweus (1978) ad utilizzare una definizione più ampia, assumendo l’idea che il bullismo fosse riferito sia al gruppo, sia all’individuo.
Intenzionalità, persistenza e disequilibrio sembrano essere gli elementi che più di altri delineano i confini di questo fenomeno: i primi due a carico di colui che compie l’azione ed il terzo distintivo della situazione nella sua globalità, in cui gli attori del dramma occupano posizioni diverse nella scala del potere e del prestigio (Fonzi, 1997).

Come nel caso della condotta aggressiva, un’azione viene definita offensiva quando una persona infligge intenzionalmente o arreca danno o disagio ad un’altra (Olweus, 1973b).
Va sottolineato che il termine bullismo non è usato quando due studenti, pressappoco della stessa forza (fisica o psicologica), litigano o discutono;
per parlare di bullismo è quindi necessario che vi sia un’asimmetria nella relazione.
Non si parla di bullismo in sede di episodi più gravi, che rappresentano veri e propri crimini e che come tali devono essere affrontati dalla polizia e dai tribunali dei minori.

È utile distinguere tra bullismo diretto, che si manifesta in attacchi relativamente aperti nei confronti della vittima, e bullismo indiretto che consiste in una forma di isolamento sociale e in un’intenzionale esclusione dal gruppo; in particolare, alcune azioni offensive possono essere perpetrate attraverso l’uso delle parole (verbalmente), per esempio minacciando, rimproverando, prendendo in giro o ingiuriando; altre possono essere commesse ricorrendo alla forza o al contatto fisico, per esempio picchiando, spingendo, prendendo a calci, tormentando o dominando un altro.

In certi casi, le azioni offensive possono essere perpetrate anche senza l’uso delle parole o del contatto fisico : beffeggiando qualcuno, con smorfie o gesti sconci, escludendo intenzionalmente dal gruppo o rifiutando di esaudire i suoi desideri.

Il bullismo può essere perpetrato da un singolo individuo – il bullo – o da un gruppo. Il bersaglio può essere un singolo individuo – la vittima – o un gruppo; in ambito scolastico è comunque in genere uno studente.
I risultati dello studio condotto da Olweus a Bergen indicano che, nella maggior parte dei casi, la vittima è molestata da un gruppo di due o tre studenti.

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