Il disturbo d’ansia sociale

Il DSM-IV la chiamava Fobia Sociale. Oggi ha ricevuto una nuova denominazione, e il DSM V del 2013 la chiama Disturbo d’ansia sociale, ma il contenuto non cambia.

Si tratta di una patologia ansiosa la cui connotazione principale è relativa alla sperimentazione di angoscia e profondo disagio ogni qualvolta si deve effettuare una prestazione in pubblico e si viene sottoposti al giudizio altrui. In questa condizione patologica fare qualcosa di fronte agli altri assume la qualifica di stimolo fobico, e come tale in grado di scatenare eccessi d’ansia preliminare alla prova (ansia da prestazione) e susseguente alla stessa (rimuginio), volto quest’ultimo a pensare a ritroso, e con modalità ossessiva, a ciò che si è sbagliato e si sarebbe potuto far meglio in vista della valutazione. Il disagio percepito dal soggetto è talmente forte che l’unico modo per porvi rimedio è spesso l’evitamento della situazione temuta.

L’evitamento consente non solo un aggiramento dello stimolo fobico e del disagio che ne deriva, ma costituisce anche un rinforzo negativo all’ansia del soggetto, che diminuisce vistosamente non appena la prova viene scongiurata. Se ne originano condotte volte all’isolamento e all’autoesclusione, con pattern cognitivi connotati da insicurezza e svalutazione del Sé, stati emotivi fortemente ansiosi e pattern relazionali pressoché assenti. Il disturbo d’ ansia sociale potrebbe risultare simile al temperamento inibito, che ha base ereditaria ed è caratterizzato da irritabilità e marcata tensione di fronte ad estranei e a situazioni nuove. E tuttavia se ne distingue perché il temperamento inibito non si mostra egualmente pervasivo, non si accompagna a disagio sociale marcato e non limita il funzionamento della persona, per quanto possa costituire un fattore predisponente al disturbo stesso.

La psicologia cognitiva crede che, all’origine del disagio psicopatologico, non possa essere ricondotto un evento di per sé negativo, bensì l’interpretazione che allo stesso viene conferito dal soggetto. L’evento dunque non costituisce in automatico uno stimolo attivante della patologia, ma lo diventa solo in relazione alle modalità emotive e cognitive che allo stesso vengono fornite dal soggetto. In questo caso, per quanto effettuare una prestazione in pubblico possa risultare fonte di tensione emotiva per chiunque, da qui a sviluppare una patologia in base alla quale diventa fonte di angoscia insostenibile persino la più piccola relazione sociale (dare la mano a qualcuno), la distanza è davvero grande.

Gli schemi cognitivi del soggetto in questo caso esercitano un ruolo discriminante, attribuendo all’evento caratteristiche di disagio che assumono connotazioni inflessibili e limitanti. Il prezzo della patologia si rivela elevato, dal punto di vista sociale e individuale.

C’è qualcosa di errato, dunque, nella modalità interpretativa così come la formula il soggetto. Poniamo che si sia verificato in passato, un evento scatenante della fobia stessa: magari una brutta figura fatta in pubblico, una volta. E poniamo il caso che da quel momento il soggetto, anziché rielaborare in una modalità adattiva l’evento, conferendo allo stesso connotazioni situazionali, casuali e comunque non destinate a ripetersi, abbia invece maturato una serie di credenze in base alle quali quell’evento specifico, e dunque la brutta figura, si sarebbe ripetuta in ogni altra occasione.

In particolare le credenze del fobico sociale sono quelle tipiche di ogni soggetto insicuro, ovvero il pensiero negativo (negativismo), il catastrofismo ( sentimento e credenze negative anche per il futuro), l’astrazione selettiva (si considerano solo i dati negativi a dispetto di quelli positivi), inferenze arbitrarie (si traggono conclusioni da evidenze insufficienti e incerte).

In base a tali script di ragionamento il soggetto fobico sociale pensa che un insuccesso, così come si è verificato una volta, sarà destinato a perpetrarsi per sempre, che lui non sarà all’altezza della prova, che tutto andrà male, gli altri lo prenderanno in giro e saranno migliori di lui e così via.

Vi è inoltre, nel suo pensiero, un’assenza di alternativa: non vengono contemplate ulteriori possibilità oltre a quelle prospettate sulla base delle credenze disfunzionali. Nel pensiero autosvalutante del fobico sociale si aggiungono, alla convinzione di non essere all’altezza della prestazione ( svalutazione del Sé), anche quelle di non saper trovare dei coping adeguati alla situazione ( impotenza), una costante percezione di vergogna, la sovrastima del giudizio altrui e l’ineluttabilità degli eventi. Anche lo stile attributivo, ovvero il grado di percezione di controllo sugli eventi, risulta penalizzante, mostrandosi esterno e inflessibile. Il soggetto, con la propria condotta, non potrà dunque esercitare alcun tipo di influenza sull’esito della prova temuta.

La patogenesi della fobia sociale: distorsioni cognitive e pensiero inflessibile

Il problema è costituito dal legame disfunzionale esplicato dal modello ABC, tipico della psicologia cognitiva, nel quale A è l’evento scatenante, rappresentato da antecedenti ambientali ed eventi esterni al soggetto, B sono le credenze disfunzionali, ovvero le modalità di pensiero che derivano dal vissuto esperienziale soggettivo, e C è il comportamento che ne consegue. Il problema non è l’evento in sé (A), ma il legame tra B e C, cioè tra core beliefs e comportamento conseguente. È necessario indebolire il legame cognitivo e comportamentale tra B e C perché A non venga più temuto.

Nel caso della fobia sociale questo modello psicoterapico comporta la necessità di correggere la sovrastima del giudizio altrui a vantaggio della considerazione del Sé come agente di coping attivo. Ma anche quella di aumentare l’autostima, rendere lo stile attributivo più flessibile, regolare lo stato emotivo e l’ansia, spezzare la mancanza di alternativa all’insuccesso, considerare senza catastrofismo la possibilità del fallimento, riconoscere al contempo la non necessarietà del suo verificarsi ( non è detto che andrà male), accrescere il senso di autoefficacia del compito. Il tutto in prospettiva di un incremento valutativo del Sé. Le tecniche di ristrutturazione cognitiva e di esposizione all’evento in vivo o tramite imagery, nella psicoterapia cognitiva, sono considerate d’elezione per il raggiungimento di tali obiettivi.

Letture consigliate: MARSIGLI, N. ( 2018), Stop all’ansia sociale: Strategie per controllare e gestire la timidezza, Erickson, Trento.

immagine fonte : https://bit.ly/2Las1Dc

 

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