Il morbo di Alzheimer e l’Approccio Capacitante

La malattia di Alzheimer è una patologia neurodegenerativa, progressiva ed irreversibile, che colpisce il cervello. Rappresenta una delle più comuni forme di demenza, caratterizzata dalla progressiva perdita delle funzioni cognitive e che influenza le capacità di una persona di portare a termine le più semplici attività quotidiane, andando a colpire aree cerebrali che controllano funzioni come la memoria, il pensiero, la parola. Il progredire della malattia può portare l’individuo ad avere grosse difficoltà anche nelle attività quotidiane: dimentica facilmente ( eventi recenti e nomi di persone), sviluppa difficoltà di linguaggio, tende a perdersi e può anche mostrare disturbi comportamentali.
Il declino progressivo delle funzioni intellettive porta, nel malato di Alzheimer, ad un conseguente peggioramento della vita relazionale, dovuto alla perdita di controllo delle proprie reazioni comportamentali ed emotive. Negli stadi finali della malattia sopraggiunge la perdita dell’autonomia che spesso richiede l’istituzionalizzazione.
Esistono farmaci che rallentano il decorso, permettendo di conservare più a lungo le funzioni cognitive, ma attualmente non vi sono cure definitive per questa malattia.
È però possibile evitare le conseguenze negative del ricovero e prevenire i disturbi psichiatrici e comportamentali dell’anziano.
Questo è quello che propone Pietro Vigorelli, medico e psicoterapeuta, con l’APPROCCIO CAPACITANTE.
Tale approccio parte dal presupposto che il paziente affetto da Alzheimer è immodificabile, quindi lo scopo è puntare al cambiamento del contesto.
In ogni fase della vita l’uomo ha delle capacità e riesce ad esprimerle meglio se si trova in un ambiente favorevole, in cui si trova a proprio agio. Questo vale in modo particolare nell’età avanzata, l’età della fragilità.
Quando si interagisce con un anziano fragile o con un anziano con demenza, spesso, si tende a focalizzarel’attenzione su quello che non può fare, che non ricorda, che non sa dire, sui suoi deficit e fragilità. L’Approccio capacitante propone, invece, di centrare l’attenzione sulle capacità, partire dall’osservazione e dall’ascolto dell’anziano.
In particolare le competenze considerate sono cinque:
> la competenza a parlare, cioè la competenza a produrre parole, indipendentemente dal loro significato;

> la competenza a comunicare, mediante il linguaggio verbale, paraverbale e non verbale;

> la competenza emotiva, cioè la competenza a provare emozioni, a condividerle e a riconoscere quelle dell’interlocutore;

> la competenza a contrattare sulle cose che ci riguardano nella vita quotidiana ;
> la competenza a decidere, anche in presenza di deficit cognitivi e in contesti di ridotta libertà decisionale (espressioni estreme di questa competenza sono rappresentate dai comportamenti di opposizione, di chiusura relazionale, di isolamento dal mondo).
Focalizzandosi su quello che il malato sa fare e fa, così come riesce, il circolo vizioso che parte dalla focalizzazione sui deficit e sul senso di inadeguatezza s’interrompe e al suo posto si instaura un circolo virtuoso.
Quindi, di fronte a un anziano capace di parlare, ma che perde il filo del discorso, che qualche volta non trova la parola giusta e scambia una persona per un’altra, si invita a focalizzare l’attenzione sulla sua capacità di parlare, sull’ascoltare senza interromperlo e senza correggerlo, cercando di capire che cosa vuole comunicare.
Il malato si sente, così, libero di parlare e di agire così come può, senza timore di sbagliare, di essere corretto o rimproverato. Si sente riconosciuto, rassicurato e resta più vitale.
Creando un ambiente capacitante la persona anziana può svolgere le attività di cui è capace, così come è capace, senza sentirsi in errore, con il solo scopo di essere felice, per quanto possibile, di fare quello che fa, così come lo fa, nel contesto in cui si trova.

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