IL PELUCHE: oggetto transizionale e amico immaginario

La sua stessa immagine, con la forma tondeggiante e paffuta che tanto ricorda quella di un bambino, evoca dolcezza e serenità.

Per non parlare del calore del suo abbraccio, enfatizzata dal morbido pelo e della tenerezza del suo sguardo, rassicurante come quello di un genitore, e complice come quello di un amico.

E forse il pupazzo è entrambe le cose, nel momento in cui un bambino lo stringe tra le braccia riversando in lui la parte più intima delle sue fantasie, delle sue emozioni, ma anche delle paure e della angosce che grazie a lui riesce ad affrontare. Il pupazzo interviene in una fase in cui il bambino viene investito di un difficile compito evolutivo: quello del distacco materno, volto a consolidare l’indipendenza del Sé in una prospettiva di espansione autonomistica ed esplorativa.

Esso prende il nome di oggetto transizionale, uno strumento attraverso il quale è possibile rendere meno tormentose e traumatiche le angosce di separazione dall’oggetto materno che il piccolo, con le sue fragili difese egoiche non sarebbe in grado di affrontare da solo.

Ma il valore funzionale del peluche non si limita certo a questo; grazie all’amico di pezza il bambino può approcciarsi alle prime esperienze di conoscenza del Sé e del mondo nella sicurezza di trovare un alleato in ogni dimensione che questo processo coinvolgerà: da quella cognitiva, a quella emotiva a quella sociale. Vediamole nello specifico.

Le funzioni evolutive del pupazzo:

  • Grazie al pupazzo il bambino può proiettare in un altro diverso da Sé i propri lati oscuri, le angosce e le insicurezze che lo spaventano, ma può anche costruire, con l’utilizzo della fantasia, una realtà alternativa a quella che sta vivendo, evocando scenari e oggetti non presenti. In questo senso il valore simbolico del peluche aiuta il bambino a costruire punti di vista alternativi al proprio, ad intraprendere il gioco dei ruoli, a collegare il pensiero ad oggetti e sensazioni che ha sperimentato in passato e che, tramite il pupazzo, può rievocare e riprodurre. Ne risultano potenziati aspetti emotivi e cognitivi come la teoria della mente, l’empatia, la capacità riflessive, che costituiscono altresì le basi per una buona competenza sociale.
  • Al peluche è inoltre connessa una funzione liquidatoria delle ansie e delle paure generate dall’assenza o dall’allontanamento dalla madre; è sufficiente che il bambino stringa a sé l’amico di pezza per ritrovare la sensazione di calore e di prossimità fisica simile a quella sperimentata con la madre, e qui rievocata a mezzo di un oggetto che si pone come surrogato simbolico della sua presenza, una sorta di ventre materno nel quale depositare i propri vissuti angosciosi, in una modalità rielaborante e più accettabile degli stessi;
  • Ulteriore funzione svolta dal pupazzo è quella compensatoria, intesa come un bilanciamento immaginativo che il bambino effettua nei riguardi di situazioni concrete che gli hanno procurato disagio, che non si sono svolte o concluse come avrebbe voluto, lasciandogli un vissuto di tristezza e frustrazione. La presenza del pupazzo, in una prospettiva ludica, consente al bambino di pareggiare i conti con questa realtà non appagante, e di immaginare in via fantasmatica un compiersi degli eventi più consono alle sue aspettative. Si precisa come tutto questo non avvenga in una finalità dissociativa o di diniego psicotico della realtà: in questa fase evolutiva il distacco dalla realtà non presenta la connotazioni patologiche dell’età adulta, risultando anzi uno strumento funzionale all’elaborazione dell’angoscia e alla costruzione del pensiero;
  • La funzione del pupazzo è anche quella di anticipare eventi potenzialmente stressanti che, grazie alla presenza dell’amico di pezza, il bambino può immaginare in modalità prospettica nel tentativo di controllo degli stessi. Si tratta di un esercizio utile ad esorcizzare il timore del nuovo, del non conosciuto, una sorta di simulazione che, per quanto frutto della fantasia, non perde il proprio valore propedeutico al verificarsi della realtà;
  • La presenza del pupazzo, inteso come amico immaginario, contribuisce a potenziare la dimensione socializzante del bambino, che attraverso di lui sperimenta modalità interattive in grado di stemperare il pensiero egocentrico e autoriferito tipico di questa fase; questo servirà ad una parziale costruzione di capacità empatiche, riflessive e mentalizzanti, grazie alle quali il bambino potrà consolidare aspetti dell’amicizia come la reciprocità, la collaborazione, la negoziabilità del conflitto, e avrà l’occasione di investire affettivamente nei rapporti con l’altro.

IL PUPAZZO COME AMICO IMMAGINARIO

A volte il pupazzo prende le sembianze di un amico immaginario con il quale confidarsi e al quale affidarsi, quasi come si trattasse di un bambino reale. Un fidato compagno di giochi ma anche un depositario di confidenze e segreti il cui ruolo non potrebbe venir egualmente rimpiazzato da nessun adulto.

Tra le braccia del bambino il pupazzo si anima, prende un’identità, un nome, un’esistenza. L’animismo tipico di questa fase evolutiva aiuta il bambino a conferire caratteristiche animate ad ogni sorta di elemento della realtà, dagli animali, ai giochi, agli oggetti. Tutto prende vita, nella sua immaginazione, ed è in questo vigoroso fervore di pensiero che si struttura la realtà. Possiamo anzi affermare che la funzione cognitiva trae origine proprio dal prezioso gioco dell’immaginazione, del far finta- tipico di questa fase- in cui la realtà diventa un simbolo da rappresentare, e il pensiero simbolizzato costruito nell’immaginazione del bambino gli consente di fantasticare la realtà in forma retrospettiva, prospettica e simulatoria.

Anche da un punto di vista emotivo è innegabile come l’amico immaginario costituisca un sostegno in grado di coniugare il calore e l’affetto fornito da una madre con la fedeltà e l’appoggio incondizionato di un amico che sostiene e non giudica; ma se la madre viene amata e temuta al contempo, perché può punire severamente, l’amico immaginario viene soltanto amato perché non può punire, non può giudicare né abbandonare.

Nel momento in cui se ne andrà sarà perché il bambino, avendo completato il proprio percorso evolutivo, non dovrà più proiettare all’esterno parti misconosciute e oscure del Sé, perché saprà conoscerle, riconoscerle e dominarle in senso regolativo.
L’amico immaginario se ne andrà solo quando il bambino non avrà più bisogno di lui. In genere questo succede a partire dai 5 -7 anni, quando l’ingresso nell’età scolare, e dunque l’incremento dei legami relazionali, rendono meno indispensabile la presenza di un amico immaginario e del pupazzo che nello stesso viene identificato. Ma il percorso evolutivo è soggettivo, e in base a ciò è possibile che alcuni bambini possano mostrare un ritardo o un anticipo, nell’abbandono del peluche, rispetto alle date statisticamente indicate.

Attualmente la psicologia evolutiva conclude per affermare e sostenere l’inestimabile funzione evolutiva del pupazzo, il cui ruolo esula da una dimensione meramente ludica per inoltrarsi in una direzione volta alla formazione e alla costruzione del Sé.
Tramite il gioco il bambino si accosta alla realtà, la costruisce, la organizza cognitivamente, ne anticipa il contenuto e l’andamento. Il pupazzo rappresenta un potente alleato in queste importanti sfide della crescita, e anche al termine del processo evolutivo, quando non ci sarà più bisogno della sua confortante presenza, la sua immagine richiamerà per sempre il ricordo di un amico fidato, una tenera incursione in un passato che, anche grazie al caro amico di pezza, è riuscito a diventare presente, e quindi futuro.
Non crediamo di esagerare dicendo che il pupazzo è il miglior amico dei bambini. Un insostituibile compagno di giochi e di crescita.

Riferimenti bibliografici

Giani Gallino, T. (1999), Il bambino e i suoi doppi, Bollati Boringhieri, Torino;
Winnicott, D.W.(1951), Sviluppo affettivo del bambino, Armando, Roma.

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