Il trattamento della balbuzie con la teatroterapia

Cos’è la balbuzie?

La balbuzie costituisce un disturbo di regolazione verbale che impedisce la produzione di un linguaggio fluente nell’ambito della relazione interpersonale. Tale patologia distingue un sottotipo tonico, in cui il soggetto presenta un arresto all’inizio della parola, con prolungamenti sillabici e del suono, e uno clonico, in cui si verifica la ripetizione continuata di una sillaba, solitamente la prima della frase; ma è possibile una coesistenza tra le due tipologie.

Il periodo critico di insorgenza va dai 3 ai 5 anni, per quanto il disturbo possa presentarsi anche in età adulta a seguito di uno shock emotivo o di un trauma; statistiche indicano che la popolazione affetta sia circa il 2%, di cui la maggioranza maschile, e che l’insorgere del disturbi si correli sovente a tratti come introversione, ansietà, negativismo, sottomissione, impulsività, bassa autostima.

Caratteristiche che le conseguenze del disturbo, soprattutto a livello sociale, rischiano di potenziare. Per quanto fattori genetici e di familiarità siano fortemente implicati nell’insorgenza della balbuzie, è infatti riconosciuto che modalità cognitive, comportamentali ed emotive possano risultare decisive non solo per la genesi del disturbo ma anche per il mantenimento dello stesso, che generalmente tende a regredire in fase post- adolescenziale, a seguito del raggiungimento di un più elevato livello di maturazione e regolazione emotiva.

Il balbuziente ha difficoltà limitate all’espressione verbale e non manifesta, nella maggior parte dei casi, deficit intellettivi specifici. A livello cognitivo è tuttavia possibile identificare una certa disorganizzazione del pensiero, che si traduce in una pianificazione semantica frastagliata e disarmonica.

Il soggetto sa perfettamente cosa vuole dire, ma non è in grado di esprimersi in maniera fluida: i pensieri si affollano nella mente, premendo per uscire con impeto molto spesso percepito come non controllabile, e questa difficoltà organizzativa va a rispecchiarsi in una comunicazione scorretta e disfunzionale in cui i meccanismi espressivi si inceppano, favorendo l’insorgenza di difficoltà relazionali.

A seguito di ripetute prestazioni verbali fallimentari e dei feedback sociali negativi conseguenti alle stesse si ingenera un meccanismo compensativo che spinge il soggetto all’isolamento, all’evitamento relazionale, cui segue uno stato di disagio e difficoltà relazionale percepito come immutabile e connesso imprescindibilmente al Sé.

Per questo si è parlato di abitudine alla balbuzie: il soggetto si introduce in una dimensione autovalutativa denigrante e senza uscita, sviluppando sentimenti di disistima affrontati con helpessness e hopelessness nei confronti del disturbo stesso; questo impedisce l’insorgere di ogni possibilità di valutazione alternativa del problema, e quindi di considerazione di eventuali mezzi finalizzati alla risoluzione o al miglioramento dello stesso.

Il balbuziente balbetta perché crede di non saper e di non poter fare altrimenti, e questo autoetichettamento cognitivo, in una sorta di “profezia che si autoavvera”, si riflette negativamente nella dimensione percettiva del Sé, inibendo combattività e problem solving, e perpetrando inoltre una serie di strategie fisiologiche connesse alla balbuzie, quali ad esempio l’iperreattività emotiva e una respirazione scorretta. È infatti noto un cattivo impiego del diaframma, una respirazione frettolosa e disarticolata si rifletta in una produzione verbale egualmente sconnessa.

La funzione terapeutica del teatro

La rieducazione verbale parte dal corpo: è necessario riabilitare il soggetto a quella corretta respirazione che non ha mai acquisito o di cui ha perduto l’utilizzo, e di seguito aiutarlo a prendere coscienza del Sé corporeo ed emotivo, nonché di una corretta propriocezione e gestione dello spazio corporeo per relazionarsi al Sé prima ancora che all’altro, in grado di consentire un’organizzazione del pensiero più articolata e funzionale, cui conseguirà un maggiore controllo emotivo.

Tali obiettivi vengono agilmente raggiunti con l’utilizzo della teatroterapia, già ampiamente consolidato e praticato nell’ambito del disturbo di comunicazione come quello della balbuzie. È infatti evidente come le principali caratteristiche di questa tecnica espressiva siano funzionali allo sviluppo di quelle potenzialità che il balbuziente possiede pur senza esserne consapevole, e che per questo tende a non mobilitare in una finalità assertiva e di crescita.

In primo luogo l’attore apprende la tecnica della respirazione, necessaria per una corretta gestione della parola sul palcoscenico, e dunque impara ad utilizzare il diaframma in una modalità tale da garantire la regolarità e la funzionalità fonico-verbale.

Ma l’attore è chiamato anche ad apprendere abilità linguistiche specifiche in grado di migliorare la dizione, la fluenza verbale e la costruzione semantica, elementi che, abbiamo visto sopra, si mostrano fortemente deficitari nella balbuzie.

Il palcoscenico richiede inoltre una raffinata espressività motoria che implica una più corretta gestione dello spazio inter e intraindividuale: fattore, questo, grazie al quale si potrà raggiungere una maggiore consapevolezza del Sé corporeo e uno sviluppo del canale espressivo non verbale in grado di migliorare l’ascolto e la comunicazione con l’altro.

Una rieducazione del pensiero espressivo sarà indispensabile al fine dell’apprendimento e dell’interpretazione della parte secondo gli schemi tempistici e logici imposti dal copione, e l’alternanza del ruolo con gli altri personaggi imporrà all’attore un’espressione coordinata, controllata, in armonia col Sé e col contesto relazionale.

Ne risulterà chiaramente potenziata anche l’interazione sociale, poiché il soggetto apprende a parlare non solo per se stesso, ma anche per e in sintonia con l’altro, in uno scambio comunicativo ed empatico reciproco, cadenzato, equilibrato che permette altresì una migliore pianificazione del pensiero.

Un intervento prezioso, da parte della teatroterapia, viene svolto anche sotto il punto di vista della regolazione emotiva ed empatica: il soggetto attore apprende a decentrarsi dal Sé e dalle proprie caratteristiche abituali per sintonizzarsi su quelle di un altro, del quale deve gestire emozioni e personalità come fossero le proprie.

Questa alterità di ruolo nel balbuziente consente la possibilità di distaccarsi dalle proprie caratteristiche espressive disfunzionali, e di vestire i panni di un personaggio che, al contrario di lui, non balbetta. Egli si sente dunque maggiormente motivato nell’assumere e gestire una corretta dizione, sentendosi una persona diversa dal balbuziente che inflessibilmente si considera.

Questo si traduce in una più agevole gestione del vissuto emotivo, che cessa di costituire un blocco espressivo ma diviene al contrario uno strumento di coloritura e arricchimento dell’espressione verbale. Le emozioni non si mescolano né alle parole né ai pensieri impedendone il flusso, ma si armonizzano con gli stessi, al contrario, favorendone la continuità e l’armonia espressiva verbale.

Il pubblico cessa di costituire un elemento di disagio, quasi di blocco espressivo, e non viene più identificato con un elemento derisore e di scherno del proprio limite: il suo ruolo diviene anzi quello di con- divisore delle emozioni espresse dal soggetto, e tale social sharing darà il via ad un percorso di crescita dell’autoconsapevolezza e dell’autostima individuale.

A tal fine si precisa come, quanto meno in una fase iniziale, risulti preferibile svolgere il trattamento in un ambito protettivo che vedrà il coinvolgimento esclusivo di individui balbuzienti. Questo al fine di favorire l’identificazione empatica, ridurre il disagio e abbassare il livello di confronto che, specie all’inizio, potrebbe costituire un elemento di disturbo per la prestazione del soggetto e aumentare il disagio dello stesso.

Il balbuziente, grazie all’attività teatrale, potrà comprendere la bellezza e la preziosità della parola espressa, e anziché vedere il messaggio verbale solo come un peso di cui liberarsi il prima possibile, peraltro senza alcuna reale organizzazione cognitiva, inizierà ad apprezzare il contenuto di ogni parola, assaporandone il contenuto, la pronuncia, il significato.

Apprenderà dunque ad ascoltarsi mentre parla, e ad apprezzare il contenuto del proprio messaggio. Grazie alla gestione psicofisica e alla potenziata capacità di gestione emotiva, il soggetto apprenderà a generalizzare il miglioramento, sviluppando tecniche e strategie espressive funzionali e garantendosi al contempo una rinnovata stima e percezione del Sé.

Utile a tal fine risulta l’applicazione del metodo Stanislavskij, già ampiamente utilizzato nelle tecniche di recitazione ai fini di una maggiore prestazione drammaturgica da parte degli attori.

Il focus di tale strumento si fonda sui due aspetti di personificazione e riviviscenza, dei quali il primo è finalizzato a porre l’attore in uno stato di rilassamento muscolare e di gestione respiratoria in grado di modulare l’arousal e la risposta emotiva agli stimoli esterni, per rimuovere ogni ostacolo potrebbe frapporsi tra lui e un corretto utilizzo del movimento corporeo e dell’espressività fisica e facciale; e il secondo, centrato sull’interpretazione e sulla lettura del copione, consente la scomposizione di quest’ultimo in una serie di blocchi ordinati secondo un criterio temporale o logico che l’attore stesso, in un secondo momento, sarà chiamato a collegare con la propria memoria emotiva.

Il tutto al fine di colorare emotivamente i vissuti del personaggio che andrà ad interpretare, rievocando i propri ricordi e associandoli agli accadimenti del copione: il personaggio diviene allora un prolungamento del Sé, e non una mera maschera da indossare sul palcoscenico.

Il medesimo cambiamento di ruolo viene chiesto al balbuziente: calarsi nei panni di un altro per scoprire che l’altro è in realtà una parte del Sé, che ogni altro può essere contenuto nel Sé e viceversa; creare uno stato di sintonizzazione emotiva circolare, e per questo infinita, costruirà le basi del miglioramento, garantendone la percepibilità, la stabilità, la generalizzazione.

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