La nevrosi da mancanza di senso

La vita non espressa, repressa, negata accumula insoddisfazione e frustrazione, si vive in uno stato di disagio generale, dove, nei casi limiti, non si vive motivazione in alcunché pur svolgendo le normali attività quotidiane.

Sintesi espressiva di tale condizione è “niente ha senso”.

È proprio la mancanza di “senso” che rende l’uomo nevrotico così come conferma lo psichiatra Viktor Frankl: «Le forme di nevrosi di oggi, in molti casi, sono da ricondursi ad una frustrazione esistenziale, ad una mancata realizzazione dell’aspirazione umana verso un’esistenza il più possibile significativa» (Frankl (2001), Logoterapia e analisi esistenziale, Morcelliana, Brescia, p.13).

Sono numerose le teorie psicologiche che trattano dell’importanza della motivazione umana in quanto spinte interiori e pulsionali che inducono a compiere determinate azioni utili all’omeostasi psichica. Tra le varie teorie motivazionali quella dello psichiatra V. Frankl circa la “volontà di significato”, diventa il bisogno fondamentale dell’uomo (Ibidem 2001). L’uomo è mosso dalla volontà di trovare un significato che gli dia senso del vivere.

È il senso il filo conduttore della nostra esistenza, quel filo che conduce verso un processo di maturazione e di crescita, quel filo che coincide con la ricerca della propria vocazione che quando è frustrato provoca quello che lo psichiatra viennese Frankl definisce come nevrosi da mancanza di senso o di vuoto (V. E. Frankl E “Teoria e terapia delle nevrosi”, ed Morcelliane 2002).

E, ogni disciplina che s’interessa dell’uomo, dalla filosofia alla medicina, dalla psicologia alla psicoterapia, deve considerare l’uomo come un progetto teso alla ricerca della propria vocazione (P. Riccardi., “Ogni vita è una vocazione; per un ritrovato benessere”, ed. Cittadella Assisi 2014).

La parola “vocazione” ha molti significati. Generalmente si pensa alla vocazione come scelta religiosa. Diventare sacerdote, diventare frate, seguire una confessione religiosa ecc. … accezione fuorviante, se è esclusivamente intesa in tal senso. Con il termine vocazione, dal latino vocationem, chiamare attraverso la voce, si indica un movimento del chiamare qualcuno verso qualcosa, un bene, una professione, un oggetto.

Ora va da sé che qualora una persona senta dentro di se la “voce”, “la chiamata” deve responsabilmente dare risposta. Ma, affinché non ci sia confusione di astrattismo terminologico, la chiamata è da intendersi come sensazione, percezione, intuizione, predisposizione che ci attira verso….

E la risposta alla propria percezione deve essere autentica e attinente a ciò che si sente come predisposizione d’animo (ibidem P. Riccardi). Il più delle volte ci si ritrova a vivere in una posizione, in un lavoro, in una relazione non sentita. Ci si sente costretti in un ruolo che il più delle volte compromette, negativamente, la sfera affettiva delle emozioni e dei sentimenti.

La scienza medica e psicologica ci dice come molte delle malattie del corpo hanno un legame con le emozioni negative, per la medicina psicosomatica, ad esempio, problemi di affezioni cutanee hanno un riferimento ai sentimenti di paura, ansia, senso di minaccia, stress e problemi nervosi e di relazioni; calcoli biliari hanno un riferimento al senso dell’amarezza e dell’aggressività trattenuta; la sindrome del colon irritabile ha un riferimento alla paura e l’insicurezza; la depressione e ansia sono in riferimento a sentimenti di disperazione e disistima. Quando si è afflitti da sentimenti negativi questi divengono, addirittura, la «carie delle ossa» così si esprime nei Proverbi 14:30.

Ciò che non è espresso rimane impresso e provoca risentimento, disistima e dolore. Ognuno, pertanto, indipendentemente da quello che può accadergli nel proprio cammino è tenuto a dare risposta responsabile; la chiamiamo vocazione (Riccardi P., ibidem).

Chi scopre la propria vocazione vive la vita come un “dono”. La vita, per essere vissuta bisogna viverla in pienezza, se vogliamo realizzare in pieno la nostra umanità e le nostre potenzialità. Diversamente produrremo quella vita non vissuta del “nevrotico adattato” (Riccardi P., “Parole che trasformano, psicoterapia dal vangelo” Ed. Cittadella Assisi 2016). Vivere in pienezza è possibile allorquando si è pienamente se stessi. Lo sa bene lo psicologo Carl Gustav Jung quando parla di individuazione. Individuarsi, dice significa divenire ciò che si è (C.G.Jung, Opere, Vol. 16, p.118). E il filosofo danese Soren Keergaard aggiunge: «diventa ciò che sei».

E nell’insegnamento psicoterapico di Gesù, non possiamo non riflettere alla parabola dei talenti (Matteo 25,14-30) la quale descrive, come una metafora psicoterapica, la realtà della vita umana, di quando la paura ci sottrae ai compiti della vita. La vita si configura come compito da risolvere e affrontare tipico dei servi del padrone, che reagiscono in maniera diversa: «Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli e ne guadagnò altri cinque, Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due, Colui, invece, che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone» (Mt 25,15b-18).

Il padrone aveva agito tenendo conto delle “capacità” di ognuno, il servo stesso spiega al padrone il suo gesto: «Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso, Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo» (Mt 25,24b-25). Si è fatto prendere dal panico a causa della propria auto considerazione, seppure il padrone lo abbia riconosciuto coerente con le sue qualità. Diversamente, la sua stessa auto considerazione si è trasformata in paura di non essere all’altezza nel dare alcun contributo dignitoso.

Quante volte noi ci tiriamo fuori dai compiti, dalle sfide eppure è solo la paura che ci porta a non vivere in pienezza la vita. Nelle paure ognuno diventa il seme di una bella pianta. Ma il seme non schiuso non realizza quello che è in suo naturale interno, l’essere pianta. Così l’uomo nasce, cresce e “dovrebbe” diventare l’uomo completo, perché quella è la legge che ha dentro. In realtà non sempre si segue quella che è nella natura di ognuno “divenire pienezza”. “Fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza” … afferma il poeta Dante.

Pasquale Riccardi
Psicologo-Psicoterapeuta

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