La ricerca in Italia – bullismo

Nel nostro paese la ricerca sul bullismo è cominciata solo all’inizio degli anni Novanta, ma ha evidenziato subito la gravità e la drammaticità del fenomeno. I primi dati sono stati raccolti in due città del centro e sud Italia – Firenze e Cosenza – mediante il questionario anonimo di Olweus (1993). Alla ricerca hanno partecipato 1379 alunni di età compresa tra gli 8 e i 14 anni (dalla terza elementare alla terza media). Nel periodo compreso tra la fine del 1992 e l’inizio del 1993 e’ stata attuata tutta una serie di operazioni per la traduzione e l’adattamento del questionario alla popolazione italiana. La versione italiana definitiva e’ molto simile a quella inglese e a quella originale di Olweus; contiene 28 domande a risposta multipla e prevede una somministrazione collettiva in classe. Tale strumento e’ organizzato in diverse sezioni: le relazioni di amicizia, le prepotenze subite, le prepotenze agite, gli atteggiamenti di bimbi ed insegnanti verso il fenomeno. Il primo problema e’ stato quello di tradurre il termine bullying; nel vocabolario della lingua italiana il termine bullo presenta una duplice accezione : ha il significato di persona arrogante, violenta ma ha anche il significato di una persona che ostenta la sua vanita’ maschile in abiti e atteggiamenti di ricercata e pacchiana eleganza (Istituto Enciclopedico Italiano, 1985). Da una analisi preliminare su 45 soggetti, è emerso che i termini bullo e bullismo risultavano poco familiari ai bimbi e quindi non idonei per la presentazione di un questionario sull’argomento. La decisione si e’ orientata verso i termini prepotenti e vittime, e fare o subire prepotenze per indicare il comportamento in oggetto. Il bullismo nelle scuole italiane si presenta molto elevato con indici complessivi che vanno all’incirca dal 41 % nella scuola primaria al 26 % nella scuola media per quanto riguarda il numero degli alunni oggetto di prepotenze (Fonzi, 1997).
L’entità del fenomeno risulta quasi doppio rispetto ai dati inglesi; forse nel nostro paese, nella nostra cultura, il conflitto è più tollerato e porta meno frequentemente alla rottura dei rapporti, assumendo quindi una minore rilevanza che induce ad una più diffusa ammissione sia da parte di chi agisce che di chi subisce (Schneider e Fonzi, 1996).
È accertato che il fenomeno diminuisce quantitativamente con l’aumentare dell’età; quindi da fenomeno generalizzato negli anni della fanciullezza, nella pubertà con l’evolversi delle capacità sociocognitive e morali, diminuisce il numero di coloro che prevaricano e di quelli disposti a farsi prevaricare, ma si radicalizzano i ruoli di bullo e di vittima; una sorta di nonnismo preludio a più gravi deviazioni future. La forma più diffusa a tutte le età è risultata quella diretta, verbale (offese, minacce), caratteristica di entrambi i sessi; il bullismo fisico (botte e furti) cala all’aumentare dell’età ed è prevalentemente denunciato dai maschi. Le prepotenze indirette (dicerie, calunnie) sono i tipi di bullismo più subiti dalle femmine, assieme a quello verbale.
La forma di bullismo considerata meno grave è quella verbale, che costituisce oltre il 50% degli episodi di prepotenza denunciati dai bambini (Menesini e Fonzi, 1997). Da un punto di vista qualitativo, emerge il peso della dimensione ecologica sul manifestarsi del comportamento studiato. Fondamentali sono fattori come il genere, le caratteristiche di personalità, le relazioni familiari, la dinamica di classe; risultano meno rilevanti l’ampiezza della scuola e le condizioni socioeconomiche della famiglia. Ciò che soprattutto colpisce è la variabilità del fattore di genere, mettendo in crisi l’immagine tradizionale della donna, disposta e abituata a ricevere prepotenze più che a farle.

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