Sulla carta le parole di una valida ed efficace relazione educativa mostrano che tendere alla perfezione e’ un obiettivo primario e sempre desiderabile per gli insegnanti.
Tuttavia mi sento di fare delle osservazioni in merito che possono sembrare impopolari se ci sente intrappolati in schemi mentali rigidi e non suscettibili di cambiamento dalla maggior parte delle persone che lavorano nell’ambito educativo.
La professione dell’insegnante si configura a pieno titolo come un mestiere di aiuto, cioè un servizio di costante ” assistenza” verso una platea (gli alunni) che manifestano una vasta gamma di problematiche insite nella fascia di età adolescenziale.
Premesso che non esistono genitori e insegnanti ideali e perfetti ( e di questo bisogna tenerne conto considerando gli stimoli e le pressioni sociali di una società che al consumismo ha delegato spesso la crescita delle nuove generazioni eludendo quei principi morali di cui molte volte sentiamo la mancanza e che appaiono come miraggi nel deserto), convinta che l’autorità genitoriale e degli educatori e’ in crisi ormai da tempo, ritengo importante e necessario non abbandonare le armi ne’ rinunciare alle risorse personali che sono le parole, il dialogo, la comunicazione, gli strumenti che veicolano sensibilità, rispetto, accoglienza.
I risultati, nella mia personale esperienza, non sono quasi mai immediati, anzi, spesso e purtroppo nell’immediato sono poco incoraggianti perché, nel coraggio di oltrepassare il confine che separa la cattedra dai banchi degli alunni, ci si mette in gioco, accusando colpi e delusioni di una azione educativa che è un processo in continuo divenire Ma anche questo serve per fare il punto della situazione, aspettando che il tempo possa dare i frutti e che le asperità diventino superfici levigate dall’esperienza, il terreno sul quale “non è importante i passi che fai e le scarpe usi ma le orme che lasci” ( citazione di anonimo).