L’evoluzione del disegno infantile

Volendo percorrere una panoramica sullo sviluppo della capacità grafica del bambino, vediamo come l’abilità del disegno si mostri più precoce rispetto all’acquisizione delle capacità grafiche.

Il bambino, già prima di mostrare competenze di scrittura mostra un particolare interesse per il foglio bianco e la penna, che nei primi 16- 18 mesi impugna senza alcune consapevolezza, magari solo per produrre scarabocchi inespressivi e scomposti, realizzati con una serie di gestualità scevre di qualsiasi connotazione intenzionale, se non quella di un piacere fine a se stesso.

LO SCARABOCCHIO

È a partire dai 2 anni che il bambino comincia a dare un nome al suo scarabocchio, mostrando un certo interesse nello stabilimento di rapporti col mondo circostante. Ma le sue esperienze grafiche si mostrano ancora grezze e poco evolute: i segni sul foglio appaiono non orientati, disordinati e sono privi di direzione sia a causa del mancato sviluppo cognitivo sia della scarsa funzione di coordinazione oculo-motoria, che non prevede una coordinazione specifica tra occhio e movimento del braccio.

Lo scarabocchio è pertanto solo il modo che il bambino ha di lasciare una traccia, ma appare ancora come un’attività globale di tutto o parte del corpo dove non compare nessuna finalità intellettiva.

Nella seconda fase, denominata dello scarabocchio controllato, per quanto non pratichi ancora segni simbolici condivisi né forme ben identificate, il bambino comincia a mantenere un certo controllo sul proprio scarabocchio: non esce dal foglio, appare più orientato, chiude le linee e colora. Non solo, le linee sono centrifughe e omolaterali, dato come si pongano tutte sullo stesso lato del foglio, che spesso è il medesimo della mano di impugnazione.

Ma il bambino vede ancora il disegno come gioco motorio, e disegna ovunque: in piedi, seduto, disteso, cambia mano e ruota il foglio: non possiede piena consapevolezza di star compiendo azioni grafiche. Se riesce a rappresentare graficamente delle forme non ne è consapevole, così, in ottemperanza al realismo fortuito tipico di questa fase, può capitare che un bambino disegni quadrati, cerchi, forme geometriche somiglianti ad oggetti reali senza neppure rendersene conto. Sarà l’adulto, infatti, a segnalare al bambino questa causale somiglianza.

L’OMINO GIRINO

Dopo i 2 anni le forme prendono maggiore stabilità e congruenza, all’interno del disegno, grazie anche ad una migliore postura del bambino durante il disegno e ad una più evoluta coordinazione visuo-motoria.

Comincia a farsi strada in lui l’idea dell’immagine corporea, propria e altrui: una maggiore consapevolezza del Sé viene anche riprodotta sul foglio tramite la rappresentazione dell’omino girino, costituito da un grande girulo raffigurante la testa dal quale si dipartono quattro linee collocate casualmente nel foglio. In questa fase prende vita anche l’imitazione della scrittura adulta, denominata grafismo scritturale, in occasione della quale il bambino traccia linee ondulatorie nel foglio simulando l’azione di scrivere per poi verbalizzare all’adulto ciò che immagina di aver scritto.

Si tratta di un esercizio particolarmente importante sia per iniziare a comprendere lo sviluppo della grafia da sinistra verso destra, sia per sviluppare il senso di collocazione spaziale del disegno all’interno del foglio.

L’OMINO TESTONE

Verso i 3 anni il bambino prende maggiore consapevolezza della propria struttura corporea: l’omino girino diventa una figura umana generalmente collocata al centro del foglio, il cui tratto fondamentale è costituito da una grande testa circolare dove fanno la loro comparsa anche gli occhi e la bocca, considerati di essenziale importanza per l’attribuzione dell’identità al volto.

L’omino girino diventa così omino testone, altresì detto cefalopode, nel quale la testa è posta in preminenza rispetto alle altre parti del corpo proprio perché il bambino non è ancora in grado di rappresentare la realtà nelle sue caratteristiche oggettive, limitandosi a darne una manifestazione grafica totalmente contaminata dal suo universo emotivo e sensoriale.

Egli non disegna le cose come sono in realtà, ma nel modo in cui le vive e se le rappresenta, lasciando che le emozioni abbiano la meglio sull’oggettività fenomenica: questo aspetto di interpretazione del disegno lo si evince anche dall’importanza che viene data alla testa, che per il bambino costituisce il perno delle proprie attività cognitive, la parte più importante del corpo umano, e quella che, per l’appunto, deve essere posta in primo piano rispetto al resto.

L’omino testone appare comunque ben collocato nel foglio, poggia su un abbozzo di quella che viene denominata linea di base del disegno e presenta braccia e gambe sotto forma di linee stilizzate, piedi a girulo e mani strette a pugno. Sono questi gli organi che il bambino ritiene fondamentali, quelli che maggiormente usa e con i quali perlopiù si relaziona, e questa rappresentazione grafica arbitraria la ritroviamo anche nella colorazione delle forma, che non segue la realtà cromatica degli oggetti, ma si mostra anch’essa contaminata dall’esperienza interiore e contestuale del bambino durante il disegno.

Non essendo a conoscenza del concetto di prospettiva, il bimbo non prova nemmeno a spiegare l’incongruenza delle forme e delle dimensioni rispetto alla realtà, preferendo concentrarsi sulle relazioni topologiche e cromatiche che sono più vicine alla sua mentalità. Così l’impiego di colori caldi può rappresentare serenità ed estroversione laddove colori freddi indicano generalmente melanconia, noia, abbattimento, e a seconda del mutare del suo stato d’animo è possibile trovare alternativamente un prato dipinto di blu o di rosso, anziché di verde come realmente appare.

Ma i tentativi del bambino di imitare la realtà sono comunque presenti: egli disegna una forma sul foglio e la mostra spesso all’adulto, chiedendo conferma dell’oggettività quanto intendeva raffigurare. Non sarà un caso che l’adulto, molto spesso, non riconosce nell’immagine quella che costituiva l’intenzione grafica del bambino, proprio perché questi non riesce ancora a rappresentare la realtà, ma solo ad interpretarla.

È possibile intravedere anche la posizione della figura rappresentata per profilo, ma è possibile che il tentativo risulti, nella maggior parte delle volte, il frutto di un isolamento incongruo e asimmetrico limitato ad alcuni elementi del volto: ad esempio possiamo trovare solo le orecchie e il naso posti di profilo, mentre il resto della figura continua a mantenere una posizione frontale. Mancando quindi nel realismo pittografico, la fase grafica tipica di questo periodo è denominata del realismo mancato.

LO STADIO SCHEMATICO

Durante lo stadio schematico, che si sviluppa a partire dai 6 anni, il bambino si trova munito di quelle competenze neurologiche, cognitive ed emozionali che contribuiranno a migliorare la struttura della propria attività grafica: le forme grafiche appaiono più dettagliate e perfezionate, la figura umana è meglio rappresentata nella sua struttura anatomica, la testa viene rimpicciolita, le mani, i piedi e il tronco sono più realisticamente rappresentati e i colori sono attribuiti con minore convenzionalità emotiva.
Per quanto il senso di realtà appaia sviluppato, comunque, il bambino non percepisce ancora completamente la realtà fenomenica, e limitato dal pensiero egocentrico e operatorio non è in grado di discostarsi totalmente da ciò che per lui è importante. Egli disegna le cose e le persone adattando le dimensioni delle medesime al ruolo più o meno importante che rivestono nella sua vita (mamma più grande del babbo o viceversa, lui stesso più grande del fratello o della sorellina, etc.), e questo consente di interpretare anche l’intimità dei rapporti familiari.

Il bambino disegna la realtà per come la conosce, aggiungendo nel disegno tutti i dettagli dei quali è a conoscenza, indipendentemente dalla loro concreta visibilità: è dunque possibile trovare all’interno dei disegni le trasparenze, ovvero la rappresentazione del contenuto interno di un vaso, di una tasca, della borsa della mamma. Poco importa se in realtà si tratti di elementi sottratti alla vista: egli ne conosce l’esistenza e li rappresenta, secondo una modalità di realismo intellettuale che tenderà a scomparire solo a partire dai 9 anni.

Può trattarsi di una necessità grafica, dunque, dettata da un pensiero cognitivo ancora in evoluzione, ma anche di una rappresentazione emotiva che il bambino vuole esprimere: non a caso, infatti, egli tende a rappresentare anche il fratellino che la mamma aspetta nella pancia, secondo un intento che appare fortemente condizionato dall’emotività più che dal resto.

DOPO I 9 ANNI

A partire dai 9 anni il bambino, grazie anche all’esperienza scolare, accede all’universo della realtà fenomenica e ne dà prova nelle sue rappresentazioni grafiche, che a partire da questo stadio evolutivo appaiono centrate nel foglio, orientate, uniformate all’apparenza visiva fenomenica tanto nella struttura grafica che nella colorazione: i colori e le forme appaiono quelli della realtà oggettiva, le emozioni hanno un valore sempre meno dominante, per quanto sempre desumibile, e le figure raffigurate si mostrano munite di tratti e dettagli sempre più numerosi e perfezionati.

Il bambino impara a rappresentare il collo, che rappresenta l’unione tra universo mentale e motorio della figura umana, a rappresentanza di un ulteriore progresso evolutivo dallo stesso compiuto: la regolazione delle emozioni e un maggior dominio degli agiti. Scompaiono le trasparenze, il disegno acquista caratteristiche convenzionali nelle proporzioni e nella simmetria, il profilo appare coerentemente orientato e per la prima volta fa la sua comparsa la prospettiva euclidea. Il bambino disegna in prospettiva, ovvero rispettando la reale posizione degli oggetti rispetto al suo punto di vista, e la figura umana, munita di braccia, collo, gambe, tronco e testa, presenta un’organicità corretta anche dal puto di vista dimensionale.

Non sarà più possibile trovare una serie di case ammassate sul lato destro solo perché il bambino abita sul lato destro della strada, né vedere un sole di dimensioni immense al centro del cielo, solo perché al bambino piace l’estate. L’apprendimento della prospettiva simboleggia la padronanza dello spazio, la conoscenza della profondità, ma anche il rispetto che il proprio punto di vista deve avere nei riguardi dell’universo: il bambino si cala così nel realismo fenomenico, è consapevole di se stesso ma anche dell’altro, e non manca di trasferire questa consapevolezza nelle proprie attività concrete. Si tratta dunque un’importante conquista appresa anche grazie al graduale sviluppo del pensiero logico ed astratto, che consente al bambino di abbandonare un punto di vista egocentrico e autoriferito.

IL DISEGNO E LE EMOZIONI

Al di là dei suoi aspetti evolutivi, fissare l’attenzione sulle caratteristiche del disegno del bambino garantisce anche una funzionale chiave di accesso interpretativo al suo mondo psichico ed emotivo, capace di aggirare il rigido strutturalismo richiesto dalle forme sintattiche e lessicali della lingua parlata, che oltretutto non viene ancora ben padroneggiata.

Non solo, dato come il bambino tenda a confondere la realtà con la propria emozione, a tingere la prima con le connotazioni della seconda, il disegno che ne consegue avrà caratteristiche sensoriali– più ancora che razionali- in grado di comunicare all’adulto emozioni non simbolizzate, conflitti interiori e tutto quel materiale inconscio che non può esser verbalizzato e trova nel convoglio grafico un funzionale mezzo di espressione.

È nel disegno libero che il bambino esprime maggiormente la propria interiorità, ed è proprio in quelle incongruenze con la realtà, nelle asimmetrie, nelle imperfezioni dimensionali, nelle alogie grafiche, che si potranno leggere significati della sua mente altrimenti inesplorabili. è anche questo il motivo per il quale i test grafici e proiettivi, o anche semplicemente la tecnica del disegno libero, sono considerati strumenti di elezione in tutti quegli ambiti ( soprattutto inerenti la psicologia clinica, giuridica e dell’evoluzione) nei quali sia necessario ottenere una valutazione più profonda dell’universo interiore del bambino.

BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO
  • Oliverio Ferraris, A. (1978), Il significato del disegno infantile, Bollati Boringhieri, Torino (2012);

  • Pinto, G. (2012), Te lo dico con le figure, Giunti Scuola, Firenze.

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