Lo Sviluppo Morale

Sviluppo morale

Una tematica importante dal punto di vista psicologico e sociale è lo sviluppo del senso morale negli individui, sviluppo che dall’infanzia procede sino all’età adulta.
Distinguiamo tre principali prospettive teoriche, che hanno messo a fuoco aspetti della moralità differenti, ovvero la prospettiva cognitivo-evolutiva, che si è focalizzata sullo sviluppo del giudizio morale; la prospettiva comportamentista, che si è orientata verso il comportamento morale; ed infine, la prospettiva psicoanalitica, che ha indagato l’aspetto relazionale ed affettivo alla base del controllo morale.
All’interno della prospettiva cognitivo-evolutiva, uno dei primi psicologi che si occupò di questo problema fu Jean Piaget che nei primi suoi scritti si focalizzò in modo specifico sulla morale dei bambini, attraverso uno studio attento delle pratiche ludiche, al fine di comprendere il loro concetto di "bene" e di "male". Attraverso l’osservazione delle regole dei giochi, scoprì che anche la moralità può essere considerata un processo evolutivo.
Ipotizza tre fasi di acquisizione delle norme che passano da una anomia morale (0-3 anni), in cui il bambino è privo di regole in quanto non ne è ancora consapevole, ad una eteronomia morale (4-8 anni), in cui il bimbo inizia a rispettare le prime regole, non per il loro significato ma in quanto dettate dall’adulto e quindi considerate invariabili e fisse, sino ad una autonomia morale, in cui il bambino incomincia a sviluppare la progressiva consapevolezza che le regole non siano immutabili ma dovute al consenso reciproco e per questa ragione cambiabili. Si obbedisce quindi non più per il rispetto dell’autorità ma per il rispetto delle aspettative e del benessere altrui (morale della responsabilità soggettiva).
I bambini cominciano, dunque, con lo sviluppo di una moralità basata sulla stretta aderenza alle regole, ai doveri e all’obbedienza all’autorità, con la convinzione che a un’azione errata faccia seguito, automaticamente e necessariamente, una punizione. Successivamente, attraverso l’interazione con altri bambini, scoprono che un comportamento strettamente aderente alle regole può talvolta essere problematico; ecco che iniziano a sviluppare uno stadio “autonomo” di pensiero morale caratterizzato dalla capacità di interpretare le regole in modo critico e selettivo, in virtù del rispetto altrui e della cooperazione.
La giustizia inizialmente è di tipo retributivo, ovvero a carattere individuale sotto forma di sanzione/punizione rapportata all’errore, al danno compiuto; successivamente, in fase di autonomia morale, la giustizia sarà di tipo distributivo, una giustizia finalizzata quindi non alla punizione ma al ristabilimento di un ordine.
Piaget ipotizza dunque un passaggio dall’egocentrismo infantile sino alla comprensione della prospettiva altrui, in cui l’interazione tra pari favorirebbe il distacco dal realismo in favore del soggettivismo morale, poiché il conflitto interpersonale genera il conflitto cognitivo, motore dello sviluppo. Prove sperimentali avvalorano questa ipotesi, infatti bambini appaiati con coetanei sviluppano un ragionamento morale più sofisticato rispetto ai bambini appaiati con l’adulto, che tendono ad essere più passivi.
Gli studi di Piaget furono successivamente sviluppati da Lawrence Kohlberg (1958) che propose una teoria dello sviluppo della qualità morale a sei stadi. Questa teoria nasce dallo studio di interviste fatte a 72 bambini di 10, 13 e 16 anni di ceto medio e basso,in merito ad una storia di difficile interpretazione morale .

STADIO COMPORTAMENTO

Prima della moralità
Stadio 1 – orientamento punizione-obbedienza Il bambino obbedisce alle regole per evitare le punizioni (simile al primo stadio di Piaget); la gravità della violazione dipende dalle conseguenze.
Stadio 2 – individualismo e scambio Il bambino si adegua alle regole per ottenere vantaggi o ricompense, in virtù del suo interesse immediato.

Moralità come convenzione
Stadio 3 – moralità per mantenere buone relazioni e l’approvazione degli altri Il bambino si conforma alle regole per mantenere buoni relazioni affettive ed evitare la disapprovazione degli altri.
Stadio 4 – mantenimento dell’ordine sociale Il bambino si conforma alle regole per evitare la censura da parte dell’autorità; adesione ai principi e alle leggi formali del proprio gruppo.

Moralità come accettazione dei principi morali
Stadio 5 – morale del contratto, dei diritti individuali e delle leggi accettate e condivise Il bambino manifesta il desiderio di mantenere un buon funzionamento della società; principi etici personali da negoziare con il gruppo e la società.
Stadio 6 – principi universali È la morale dei principi individuali della coscienza. Il bambino si conforma a dei principi individuali per evitare l’autocondanna; principi universali da difendere anche se in contrasto con altre norme o convenzioni.

La moralità, quindi, si sviluppa per apprendimento sociale che varia a seconda del contesto in cui si vive; apprendimento che si manterrebbe stabile sino all’età adulta.
La prima e la media infanzia sono caratterizzate da una moralità preconvenzionale, basata sulla paura delle regole; l’adolescenza e l’età adulta sono invece caratterizzate da una moralità di tipo convenzionale; soltanto pochissimi adulti colti ed intelligenti mostrano come forma di pensiero la moralità postconvenzionale.
Studi sperimentali sembrano dimostrare questa sequenzialità degli stadi del ragionamento morale.
Tale sequenzialità sembra essere presente in diverse società sebbene differisca da una cultura ad un’altra il livello di ragionamento morale raggiunto.
Sviluppo morale e sviluppo cognitivo appaiono come due domini strettamente collegati, in quanto il secondo regola e sostiene il primo.
Invece per quanto concerne la comprensione morale e la condotta morale, sembrano essere indipendenti; l’attenzione esclusiva all’aspetto cognitivo si rivela insufficiente poiché il comportamento morale o immorale dipende dalla interazione tra fattori situazionali, cognitivi, emotivi e motivazionali.
Negli anni 70, studi più estesi mostrarono delle anomalie nella sequenza degli stadi. Elliot Turiel (1983) propose la teoria del dominio secondo la quale a partire dai 39 mesi si differenziano due rispettivi domini (ambiti) concettuali: le “convenzioni sociali” e gli “imperativi morali”. Azioni nel dominio della moralità hanno effetti di tipo intrinseco, mentre le azioni che riguardano la sfera sociale non hanno effetti intrinseci interpersonali. Questo giustificherebbe la concezione comune che la trasgressione delle convenzioni sia meno grave della non osservanza delle norme morali universalmente riconosciute.
Già a tre anni i bambini sembrano sapere che le norme morali sono assolute, mentre le convenzioni sono relative e quindi più deboli. L’obbedienza è determinata dalla paura della punizione, mentre la moralità è determinata da convinzioni autonome. Uno studio longitudinale su toddlers, ovvero bambini ai primi passi, mostra come l’arrendevolezza alle richieste dei genitori a due anni predica lo sviluppo della morale sei anni dopo.
Carol Gilligan sviluppò un concetto di moralità del “prendersi cura” in alternativa alla moralità della giustizia e dei diritti. La moralità non è intesa come l’obbligo a non trattare gli altri in modo scorretto, ma come la spinta al soccorrere chi manifesta un bisogno.
Per quanto concerne invece la prospettiva comportamentista, l’individuo apprenderebbe le norme del comportamento morale attraverso l’esperienza in termini di punizioni e rinforzi positivi.
Secondo l’orientamento del Social Learning, i comportamenti morali inizialmente vengono acquisiti non tramite rinforzo ma appresi spontaneamente con l’osservazione e l’imitazione.
Bandura assume una prospettiva di Interazionismo cognitivo-sociale, sottolineando, nello sviluppo morale un processo interattivo globale dove intervengono sia fattori individuali-personali, sia fattori ambientali-sociali.
Nell’ambito della prospettiva psicoanalitica, Freud asserirà che la formazione della coscienza morale (Super-io) sia frutto del complesso edipico e della dipendenza genitoriale. Il Super-io non si formerebbe attraverso meccanismi identificatori nei confronti dei genitori, ma a immagine del loro Super-io; è infatti dall’azione critica e punitiva del Super-io che derivano i sensi di colpa. Per quanto concerne il comportamento morale, Freud attribuisce responsabilità alle identificazioni con i genitori o con altri adulti di riferimento, che concorrono a formare l’Io ideale, ovvero il modello al quale il bambino cerca di assomigliare.
Diversamente da Freud, Melanine klein sostiene che si possa parlare di coscienza morale già nella primissima età infantile e non solo a conclusione e superamento del complesso edipico. L’autrice rintraccia le origini del Super-io nella paura dell’infante di perdere l’oggetto d’amore a causa delle pulsioni a carattere distruttivo rivolte verso l’oggetto stesso, ai sensi di colpa e alla tendenza alla riparazione.
Vi è un generale consenso tra gli studiosi sul principio che lo sviluppo della moralità avvenga per stadi successivi. Ne consegue che la personalità adulta riflette le caratteristiche sviluppate durante l’infanzia. In particolare, gli anni dai sei ai tredici anni rivestono un ruolo fondamentale nella formazione della personalità e del comportamento sociale; la funzione genitoriale e quella scolastica risultano essere, ancora una volta, basilari.

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