Maledetta felicità

Il recente fatto di cronaca nel quale ha perso la vita un giovane torinese ucciso senza nessuna colpa su una panchina a Torino è l’ennesimo caso di violenza gratuita

Una violenza che rappresenta ormai un denominatore comune di una società che attraverso di essa esprime malessere, insofferenza e incomunicabilità. Spesso ci chiediamo perché ma in questo caso, come ha confessato il giovane omicida, il motivo appare ancora più incomprensibile nella sua semplice e assurda verità.

Stefano è stato tradito dalla sua espressione di felicità e serenità, un aspetto della vita inaccettabile e anacronistico in un mondo che fa della violenza l’unico strumento che respinge la vita e le sue naturali manifestazioni.

C’è una involuzione sociale dei rapporti umani che ogni giorno racconta la storia di vittime annunciate o casuali come in questa circostanza. La felicità sembra purtroppo un miraggio in un’isola sconfinata di aridità emozionale in cui tanti relegano problematiche personali ed esistenziali. L’alterità rappresenta spesso una minaccia, un oscuro pericolo dal quale difendersi per non essere sopraffatti.

Questa guerra senza nome detta le leggi secondo il motto “homo hominis lupus” che ai primordi della civiltà costituiva l’unico mezzo di sopravvivenza. Ma sono passati da allora milioni di anni e tutto questo non è concepibile in un mondo che il progresso vuole migliore per l’intera collettività.

Difendere la felicità significa contrastare la cultura della morte, aumentare le difese immunitarie contro le malattie del secolo, quelle che spesso non emergono con sintomi evidenti ma che contagiano quotidianamente pensieri, sentimenti, emozioni di tante e troppe persone alle quali la vita non sorride più.

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