Nonostante il troppo da fare si vive di noia perché?

Non si può negare la quantità di stimoli nella nostra vita.

Viviamo di una cultura multitasking, in termini di informatica, si tratta di un sistema operativo che permette di eseguire più programmi contemporaneamente.

Del resto su uno smartphone da cinque pollici contemporaneamente si gestisce mail, chat, ed altro. Costantemente viviamo con qualcosa da fare, e anche quando ne siamo senza siamo attenti al bip che ci chiama l’attenzione dell’ennesimo messaggio.

C’è troppo da fare, eppure, paradossalmente ci sentiamo costantemente annoiati, depressi demotivati.

Nonostante il troppo da fare si vive di noia perché? La persona annoiata ha la responsabilità di interrogarsi. A questo punto è bene fare una precisazione tra noia e insoddisfazione. E’ quest’ultima condizione che porta alla noia? O la noia all’insoddisfazione? Di certo è che quando ci sentiamo annoiati nulla si presenta interessante ai nostri occhi. Niente ci stimola. Proiettiamo all’esterno le cause della noia e dell’insoddisfazione. «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro». E diceva [ai suoi discepoli]: «Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo». (Marco 7, 21-23).

Il monito, chiaramente è una spinta, a considerare il potere che è in se e non nelle cose esterne (P. Riccardi, “Psicoterapia del cuore e Beatitudini” ed Cittadella Assisi 2018). Troppo spesso l’uomo si spersonalizza affidandosi al ruolo che riveste, al lavoro che fa, alla relazione che vive per cui, indirettamente, depone all’esterno la motivazione del vivere. Così succede di una persona, che legandosi eccessivamente al suo ruolo, si annoia nel tempo, perché da esso dipende la sua esistenza, il suo essere; così succede che una persona dopo anni di lavoro, andato in pensione, va in depressione, perché da esso dipendeva; così succede nelle relazioni interpersonali, da esse ci si aspetta qualcosa, tipica delle illusioni infantili, nel tempo si annoiano solo perché non rispondenti alle proprie illusioni. Sta di fatto che il potere è affidato all’esterno. E’ il tempo in cui la persona annoiata comprenda che la spersonalizzazione di se porta alla noia.

E’ tempo di considerare la vita come valore e come vocazione, non intesa sempre come scelta di confessione religiosa, ma come chiamata a dare responsabilmente risposta agli eventi della vita, perché ogni vita, sempre e in qualunque situazione, richiede una risposta (P. Riccardi, “ogni vita è una vocazione; per un ritrovato benessere; ed. Cittadella 2014). Molto spesso la visione della vita annoiata si nasconde dietro la frase: ma la vita cosa mi dà? Cosa mio offre? Sarebbe meglio, per dare sfogo alla propria chiamata, per attivarsi al senso di responsabilità chiedersi, cosa io do alla vita? Cosa io offro? Ciò che è importante non è quello che si riceva ma quello che si dà. Probabilmente, una visione che si soffermi su cosa si riceve dalla vita, sposta l’asse di attenzione agli stimoli esterni, e ne sono in eccesso, facendo perdere di vista il senso della responsabilità, Ogni situazione di noia non può esser affrontata con il solo lamentarsi o il lasciarsi andare alla passività solo per giustificarsi e deresponsabilizzarsi, non serve a nulla. Lamentarsi con “il niente mi dà gioia” non risolve certo la noia.

La responsabilità di chiedersi “cosa posso fare ora, per me, in questo momento è rendere la propria vita attiva significativa e carica di senso. Lo sa bene lo psicoterapeuta quando attiva, nel suo cliente il cambiamento ad agire. E lo sa bene l’antropologia cristiana, quando attraverso il messaggio di Gesù invita ad essere operativi affermando conversione: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo» (Marco 1,15). Con-versione è nel senso di cambiare verso, direzione, modo di essere e solo così ci si accorge che la noia deriva da una vita insignificante, senza senso e responsabilità (P. Riccardi Ibidem 2018) che se perdura nel tempo porta alla “nevrosi da mancanza di senso” come definita dallo psichiatra viennese Viktor E. Frankl (Logoetrapia e anlisi esistenziale, Morcelliana Brescia, 2000).

Pasquale Riccardi
Psicologo-Psicoterapeuta
riccardi.p@alice.it

 

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