Omossessualità a scuola: perché parlarne

omo scuola

di Stefano Rossi

Ogni epoca storica ha avuto il proprio capro espiatorio sociale su cui si è riversata ogni forma di violenza: fisica, verbale e indiretta con l’emarginazione.
Ci sono stati i neri, gli stranieri, le donne, gli ebrei, i musulmani, i portatori di disabilità e la lista potrebbe essere ancora molto più lunga.
Questo era il passato, infatti complessivamente per ciascuna delle categorie sociali sopra menzionate c’è oggi una relativa accettazione ed integrazione.
Tuttavia come dicevamo ogni periodo storico ha le proprie vittime disegnate, se oggi nel ventunesimo secolo molte persone di cultura e status sociale medio non si esprimerebbero con battute di pessimo gusto su ebrei, persone di colore o disabili, li vedrete invece incorrere con leggerezza con battute e nomignoli umilianti sulle persone omosessuali.
Se da un lato negli ultimi anni c’è stata una positiva sensibilizzazione ed emersione sociale sull’omosessualità vi sono però ancora diversi ambiti in cui essere omosessuale è un fardello pesante e da non nominare. Uno di questi ambiti è la scuola.
La provocazione di questo articolo parte proprio da un’ipotesi. Quanti sono gli insegnanti che ricevono la confidenza o la richiesta di aiuto da un alunno omosessuale? Quanti sono i ragazzi e le ragazze che nelle nostre scuole riescono a condividere con i propri compagni di classe di essere gay? E per i pochi che hanno il coraggio di fare un coming out quanta solidarietà ricevono e quanti invece subiscono insulti, offese, minacce o prevaricazioni di vario tipo?
La risposta a queste domande è purtroppo distante ancora anni luce da una minima ed accettabile integrazione sociale di questi ragazzi e ragazze.
La scuola italiana ha fatto e sta facendo grandi passi verso l’integrazione di ragazzi stranieri, alunni con disabilità e studenti con bisogni educativi speciali. Per i ragazzi e le ragazze omosessuali non si sta facendo ancora abbastanza.
L’omosessualità rimane nella nostra scuola un tabù che mette a disagio non solo compagni e compagne ma anche e soprattutto insegnanti ed operatori scolastici.
Questa latitanza educativa è ancora più grave se si considera che il bullismo omofobico lascia danni gravi e a volte permanenti in quegli studenti che non per un giorno, non per una settimana ma per anni scolastici subiscono offese e prevaricazioni per il proprio orientamento sessuale o anche solo per il sospetto di un tale orientamento da parte dei bulli.
Ma come intervenire? In tanto bisogna partire da una corretta informazione, infatti come tutte le categorie sociali soggette a pregiudizi anche l’omosessualità è vittima di veri e propri falsi miti, credenze erronee che alimentano e rafforzano l’emarginazione, come che l’omosessualità sia una scelta, o una malattia che è possibile curare.
Insegnanti ed educatori dovrebbero aprire un dialogo ed uno spazio di sensibilizzazione con i propri studenti, come lo si svolge già da anni sull’integrazione e sull’apertura al multiculturalismo si può fare lo stesso per l’omosessualità.
L’occasione verrà facilmente offerta da una delle tante battute omofobe che spesso si sentono sulla bocca degli adolescenti. Reprimerle solamente non è sufficiente. Ci vuole informazione e sensibilizzazione quindi un intervento che combini un lavoro razionale sulle credenze erronei dei ragazzi ed un lavoro emotivo che tramite l’empatia li aiuti a capire e sentire quanto sia doloroso e faticoso vivere nelle paura e nella non accettazione da parte degli altri per come si è.
Da un punto di vista pedagogico un intervento educativo sull’omosessualità permette di agire su diversi livelli:
– sul sistema classe, creando un clima di maggior accoglienza e rispetto di tutte le forme di diversità
– sui bulli, per comprendere anche emotivamente gli effetti negativi dei propri comportamenti
– sugli astanti, per passare da una condizione di spettatori passivi al ruolo di persone attive che non sostengano anche indirettamente gli agiti di bullismo omofobico
– sulle vittime, aprendo con l’insegnante o l’educatore un canale dialogico privilegiato.
Questi ragazzi e queste ragazze si sentono sbagliati e colpevoli di un delitto innominabile. Per questo è importante trovare un adulto non giudicante che gli offra un luogo sicuro in cui essere accettati comprendendo che non c’è niente di sbagliato in loro.
Se mediata da un adulto empatico e competente le situazioni di bullismo omofobico possono diventare per ciascuno una preziosa occasione di apprendimento emotivo e sociale.
Come per il razzismo, le differenze di genere e culturali si può insegnare ai ragazzi che non bisogna temere le diversità, imparando a convivere nell’accoglienza e nel rispetto reciproco.

Autore: Dr. Stefano Rossi
Consulente e formatore esperto in psicologia scolastica e pedagogia della devianza.
Collabora con scuole primarie e secondarie con progetti in cui si utilizza l’apprendimento e l’educazione cooperativa per intervenire su temi quali il bullismo, l’omofobia, l’educazione affettiva e interculturale.
Responsabile dello studio Pedagos che si occupa anche di formazione di insegnanti ed educatori.
Per informazioni: www.pedagos.it

0 commenti Aggiungi il tuo

  1. Laura ha detto:

    La diversità sessuale e’ sempre stato un argomento spinoso, difficile da affrontare soprattutto con gli adolescenti che vivono in prima persona forti cambiamenti fisici e psicologici. Importante, per ampliare le vedute di piccoli e grandi, trasmettere messaggi che stimolano e invitano a valutare la diversità come un aspetto della vita che non può e non deve essere perseguitato o condannato ma accolto e compreso senza pregiudizi di genere.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.