Tra genitori e figli, la trasmissione dell’ansia

La nostra cultura educativa, volendo o nolendo si configura di evitamento, nel senso che comunemente si cerca di insegnare, sin da bambini come evitare le ansie, le paure, i timori. Là dove si dovrebbe fare prevenzione, inconsapevolmente si fa evitamento.

Molti genitori, pur con le migliori intenzioni non insegnano a stare nella paura, a vivere nell’ansia, a trarre giovamento da queste condizioni ma cercano di far in modi di non far pesare, evitare nel figlio questi processi. Ci si chiede se l’ansia è innata o appresa da situazioni e modelli genitoriali? Correnti di pensiero a riguardo sono contrastanti. L’ansia è uno stato interiore frequente e comune.

È una paura, il più delle volte senza oggetto, può essere rivolta, almeno per il mondo degli adulti, all’idea della morte, alla finitezza dell’esistenza, allo scopo del vivere, al significato del perché vivere e in questi casi fa parte della coscienza dell’uomo e quindi si configura come esistenziale.

Può essere collegata ad un qualcosa di indefinito come la paura di un temporale, delle streghe notturne, del leone sotto al letto che spinge molti bambini a dormire nel lettone dei genitori. In questi casi è particolarmente rivolta al mondo dei bambini.

In entrambi i casi ad accompagnare l’ansia è uno stato di inquietudine che può assumere disagio fisico, come stato di malessere e disagio psichico con demotivazione e insicurezze. Non è sempre facile capire il motivo per il quale si scatenano le ansie, non è facile carpirne le origini.

E se fossero apprese, trasmesse da uno stile genitoriale ansioso? La psicologia dell’età evolutiva ci dice come possiamo trasmettere le nostre paure ai figli sin dalla tenera età. Una madre ansiosa e preoccupata, che allatta al seno, trasmette oltre il cibo una quantità di ansia percepita dal bambino.

Un genitore ansioso e preoccupato del tirare avanti, trasmette una situazione di indefinita precarietà. Una madre ossessiva circa l’educazione trasmette un ansia nell’essere libero e spontaneo del figlio trasmettendo l’ansia circa un eventuale rimprovero. Da non trascurare la caratteristica del pensiero generalizzato dei bambini. La generalizzazione è un processo mentale che rende funzionale l’apprendimento di una nuova abilità in una altrettanto nuova abilità.

Ad esempio un bambino che acquisisce l’abilità del maneggiare un cucchiaio, sfrutta la stessa abilità per maneggiare qualsiasi cosa che richiede la stessa impugnatura. Tale processo permette di rispondere al bimbo a situazioni meno conosciute. Allo stesso momento un bambino che impara ad essere ansioso attraverso l’osservazione dei genitori o attraverso il modello genitoriale. Introietta le loro ansie.

Si ricordi che l’’introiezione, uno dei concetti cardini della psicoanalisi freudiana si configura come un processo, inconscio, inconsapevole di trasporto dall’esterno all’interno di contenuti osservati, percepiti. Pertanto, i bambini, e anche gli adulti, possono, senza rendersene conto, introiettare le paure e le ansie derivante da un contesto esterno.

Quale strumenti di prevenzione? Non certo il tentativo di negare, rimuovere, o evitare facendo finta di niente, ma parlare, fin dove è possibile un dialogo con il bambino. Spiegare che un genitore può essere preoccupato, specificando per cosa.

Dare un nome emozionale a quello che si sta provando; collegare un sentimento a quel preciso momento. Identificare quali sono i pensieri catastrofici e strutturare un dialogo interno, per accertarsi delle vericidità; Fare da spola tra la propria ansia e quella appresa. E per finire scoprire se si mette vino vecchio in otri nuovi: «E nessuno mette vino nuovo in otri vecchi; altrimenti il vino nuovo spacca gli otri, si versa fuori e gli otri vanno perduti. Il vino nuovo bisogna metterlo in otri nuovi» (Lc, 5, 37-38).

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