Tratto da Repubblica – Straniero in classe, il problema c’è e la scuola non è ancora pronta

Scuola

Un’indagine del CNR rivela atteggiamenti, problemi e storie
raccontati dagli insegnanti di elementari, medie e superiori

Straniero in classe, il problema c’è
e la scuola non è ancora pronta

Urgenti i corsi di alfabetizzazione, manca il mediatore culturale
di FEDERICA FORTE
ROMA – L’immigrazione a scuola vista dagli insegnanti. Gli atteggiamenti, i problemi, le perplessità, le esperienze raccontate dalla voce dei protagonisti sono stati analizzati dai ricercatori dell’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione del Cnr e raccolti in un libro, "Marek va a scuola". Il risultato più evidente è la diffusa sensazione di disagio degli educatori, che lamentano di essere stati lasciati troppo soli ad affrontare l’ondata – ormai costante – degli studenti stranieri nelle aule italiane. E chiedono interventi urgenti: l’attivazione di corsi di alfabetizzazione e la presenza costante del mediatore culturale.

Lo studio, durato circa tre anni, ha portato alla luce l’evoluzione quotidiana del mondo "globalizzato" all’interno del sistema "classe", e soprattutto le esigenze dei docenti in una scuola italiana impreparata di fronte ad una questione tanto complessa. Perché insegnare ad un alunno immigrato significa confrontarsi con la sua cultura, i suoi simboli, la sua storia non certo facile, l’immersione totale e repentina in un ambiente nuovo e differente. Senza dimenticare che prima di tutto è un individuo. E che si dovrà scontrare con una società non molto solidale e una scuola troppo burocratizzata.

Gli psicologi del Cnr hanno intervistato attraverso la tecnica del focus group gli insegnanti di 10 scuole dell’Italia centrale (3 superiori, 5 medie, 2 elementari), un campione qualitativamente rappresentativo della scuola italiana. Hanno stimolato la discussione su diversi aspetti della questione, dal problema della diversità culturale al rapporto con le famiglie dei ragazzi, fino ad individuare possibili strategie di integrazione. Alle interviste collettive hanno partecipato docenti scelti a caso, di volta in volta, per ottenere risposte il più possibile diversificate.

"Non tutti i professori vivono la presenza dell’alunno immigrato nello stesso modo: si va da quello entusiasta al curioso, fino al docente che ignora il problema perché considera lo straniero come uno studente qualsiasi.", spiega la professoressa Camilla Pagani, responsabile della ricerca insieme a Francesco Robustelli.

Molti sottovalutano l’importanza della distanza culturale, anche se la classe ospita alunni rom, cinesi, o di religioni diverse come musulmani ed ebrei. Ragazzi (e famiglie) sui quali pesa ancora un pregiudizio culturale radicato, insieme ad una certa diffidenza. "Non si tratta di diffidenza vera e propria", dice la Pagani, "è piuttosto un sentimento di paura, dovuto molto probabilmente al momento storico in cui viviamo, caratterizzato dalla minaccia del terrorismo".

Paura che si indirizza verso gli islamici: "Un’insegnante, ad esempio, ha espresso il timore che i suoi ragazzi musulmani, in apparenza bravi, educati, impegnati, in realtà covino in cuor loro un sentimento di rivolta e di odio verso la cultura occidentale, e di riflesso nei confronti del lavoro dei docenti."

Ma il problema più grande è legato all’aspetto pratico della convivenza: la conoscenza della lingua, quindi la possibilità di comunicare. L’apprendimento dell’italiano non è stato mai adeguatamente affrontato, mancano corsi di alfabetizzazione per i ragazzi stranieri, che vengono così inseriti in classi con compagni di due, tre, anche quattro anni più piccoli. E la cosa non fa che aumentare la problematicità di un’integrazione di per sè non facile. "Una buona assistenza al ragazzo immigrato deve cominciare innanzitutto con un corso di alfabetizzazione, indispensabile sia per l’apprendimento scolastico che per le relazioni sociali", afferma la Pagani. "Devono essere gestiti in maniera collaborativa, presentati all’alunno come un arricchimento, al di là del normale orario scolastico."

Gli insegnanti chiedono inoltre una maggiore presenza del mediatore culturale, molto più efficace di lunghi e noiosi corsi di aggiornamento. "Il mediatore è una figura di riferimento in molti casi", spiega, "è in grado di dare informazioni pratiche, concrete; sa entrare nel vivo delle storie degli studenti, a partire dalla situazione socioeconomica e familiare." Così è più facile capire gli altri. "Del resto, non può ricadere tutto sugli insegnanti: è giusto che la scuola affronti la questione immigrazione con competenza, delicatezza e rispetto. Una questione che necessita di molta più attenzione di quanta non ne abbia".

I ragazzi stranieri sono spesso oggetto di episodi di bullismo, che si manifestano con la violenza fisica, ma che emergono dai discorsi dei ragazzi, soprattutto nelle scuole superiori. "Stiamo vagliando gli elaborati degli studenti delle scuole interessate dalla ricerca", ha anticipato, "ed è preoccupante notare che il razzismo comincia a serpeggiare già tra gli alunni delle medie: temi in cui si parla di purezza della razza, si esalta l’ordine, la "pulizia". Un atteggiamento di rifiuto non solo verso gli stranieri, ma in generale verso i più deboli, i diversi, come potrebbero essere i disabili, i gay, persino i timidi o i più bravi."

"Eppure, il dato che ci ha lasciato più perplessi", conclude la Pagani," è un altro: di fronte ad un tema sul multiculturalismo gli studenti hanno preferito parlare delle loro solitudini". E a insinuarsi questa volta è il rischio che i ragazzi si rinchiudano in se stessi, proprio loro che dovrebbero essere i protagonisti della società multiculturale.
14 febbraio 2006
Repubblica

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