Un passo nel passato per affrontare la critica negativa di se

È esperienza comune il lamentarsi per cose che non sono andate come avremmo voluto.

Fa parte dell’imprevedibilità della vita; non tutto è sotto controllo.

Lo sanno bene gli ossessivi compulsivi che sono sotto il potere di un eccessivo controllo delle cose, delle persone e degli stessi propri pensieri. Conseguenza? Un malessere che amplificato diventa “disturbo ossessivo compulsivo”.

Ci si chiede cosa si nasconde dietro il tentativo di un eccessivo controllo? Un senso di autoaccusa? Un giudizio autocritico negativo? Molto spesso le persone si accusano e si giudicano oltre il dovuto per cose che non sono andate per il verso giusto.

Questo modo di considerarsi, che noi psicologi e psicoterapeuti chiamiamo credenza interna, diventa spesso eccessiva e autopunitiva, rigida e impenetrabile; diventa la così detta critica interna intorno al quale ruota il proprio auto giudizio: “Sono buono a nulla ….; le disgrazie capitano tutte a me….; non sono in grado di…..; sono sfortunato ecc …

Ci sentiamo bloccati tra il desiderato e la realtà. Quale possibile via di uscita? Ci adattiamo e ci adeguiamo in quelle posizioni esistenziali di vita descritte dallo psichiatra Eric Berne, comeIo non sono Ok tu sei Ok” (Eric Berne (1964)  “Ciao…e poi?” ed. Tascabili Bompiani, Milano (2000). Le “posizioni esistenziali” descrivono come una persona vede sé e gli altri e influenza il modo di pensarsi, agire ed entrare in rapporto con l’altro/i.

Tra le situazioni che maggiormente incidono, negativamente sulla percezione di se, sono i comportamenti di accusa e sconferma da parte di figure significative. Già nella prima infanzia veniamo influenzati ad agire, a pesare e a sentire emozioni che non sono attinenti ai propri autentici bisogni.

È vero che come individui abbiamo bisogno di regole e strutture per crescere. Ma quando queste sono proposte come strategie di colpevolizzazione intaccano la personalità.

Molti genitori, ad esempio, per far sì che i figli seguano precise regole familiari, norme di condotte e moralità, adottano il sistema minaccia-punizione; Se non fai questo non hai quello….; se non mangi, Gesù si dispiace; se fai questa cose mi dispiaccio…..; se non mi stai a sentire non ti vorrò più bene. Scientificamente approvato, da ricerche psicologiche, che la punizione si configura come elemento sfavorevole, che oltre a provocare ansia e paura risulta negativo e disfunzionale per la crescita.

E non è un caso che la Cassazione ha specificato che l’abuso dei mezzi di correzione e disciplina è un reato, (Art. 571 cod. pen.), affermando che per malattia della mente deve intendersi tutta una serie di problematiche psichiche che vanno ad esempio dallo stato d’ansia all’insonnia, dalla depressione ai disturbi del carattere e del comportamento (Cass. sent. n. 16491/2005 del 07.02.2005).

Il sistema minaccia punizione oltre a debellare l’Io, la struttura centrale della personalità, appesantisce il nostro super Io, concetto fondante la teoria freudiana sul nostro dinamismo psichico indicando la censura morale, (Freud “Introduzione alla psicoanalisi” ed Borighieri, 1985). Molti insegnamenti di regole e norme morali strutturano in maniera eccessiva il nostro super io che spesso prende il sopravvento sull’io (Freud ibidem 1985)

Accade sovente, sia nella diade genitore figli, marito e moglie, coppie, amici e rapporti lavorativi che le relazioni sono caratterizzate, per la maggior parte del tempo, da messaggi e ingiunzioni tesi alla colpevolizzazione.

A strutturare un super Io inadeguato rispetto alle proprie risorse interne. Va chiarito come per esempio una minaccia punizione possa essere ogni comportamento, atteggiamento e ammonimento che mina la fiducia e la sicurezza dell’altro, agendo all’insegna di inganni e ricatti. Molte regole e norme morali, passano per il bene dell’altro, mentre servono alle proprie esigenze.

Un regalo al partner può essere elargito per senso di colpa ad un tradimento che per un autentico bene. Un accontentare un figlio può essere dovuto al senso di colpa della propria distanza emotiva e non di una vera e reale dimensione di accoglienza.

Molti bambini vengono mandati a letto presto la sera non per il benessere del bambino, ma perché ad una certa ora si preferisce stare soli e rilassati. Molti divieti sono imposti al figlio, per esempio, solo per non fare brutta figura dinanzi agli altri.

Capita spesso in molte famiglie che il comportamento che si ha con il figlio, davanti agli altri è diverso da quello che si ha nelle intime dinamiche familiari. Sii educato, sii responsabile, sii svelto, sii bravo, sono spesso messaggi che non sempre rispecchiamo un interesse per il figlio ma rispecchiano un interesse personale.

Così come il desiderio che il proprio figliolo sia realizzato in un certo modo, in un certo settore in un certo campo non sempre corrisponde alla vera indole del figlio ma a quanto il genitore possa bearsi, agli occhi di se stessi e degli altri, della riuscita del figlio. Insomma se è vero che un genitore deve aiutare il figlio a sviluppare la propria autonomia lo deve fare in vista di un impegno a non limitare l’Io, la creatività e spontaneità.

Ogni relazione autentica che si rispetti non deve alimentare oltre misura il super io, che diventa la voce critica dentro di noi, ma aiutare a stimolare il benessere dell’altro e non il proprio. Ad esempio come quando non facciamo sentire il peso del “dovere” quando non facciamo sentire la colpa, per un atteggiamento sbagliato. Quando spieghiamo il perché un certo comportamento non va messo in atto.

A volte è necessario, per non cadere nel giudizio critico di se, ritornare al cuore della nostra genuinità propria di quando eravamo bambini e rileggere i tanti limiti imposti (Riccardi P., Parole che trasformano, psicoterapia dal vangelo ed. Cittadella Assisi, 2016).

Tornare bambini in termini psicoterapeutici significa recuperare quella spontaneità naturale bloccata impropriamente, capire e superare quella critica interna che parte, sin da piccoli, per paura di perdere l’amore dei genitori.

Senza colpevolizzare chi ci ha guidati né colpevolizzare noi stessi. Allo stesso modo nella psicoterapeutica del cuore di Gesù ci dice di tornare bambini, che il Regno dei Cieli è per i bambini: “In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino sarà il più grande nel regno dei cieli… E chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio accoglie me.” (Mt 18,3-5). (Riccardi P., Psicoterapia del cuore e Beatitudini ed Cittadella Assisi, 2018)

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