La scuola è diventata un serbatoio di raccolta di inquietudini e insicurezze, un filtro che assorbe e non riesce più a contenere i segnali di un disagio sempre crescente.
Non ci sono più spazi adatti a contenere le difficoltà e i prepotenti messaggi che i giovani adolescenti gridano verso gli adulti educatori.
Quasi tutti i programmi curriculari rimangono evanescenti sulla carta e sembrano àncore a cui legare i contenuti disciplinari, un’isola di certezze che spesso vengono travolte da realtà di cui non si conoscono le dinamiche e i significati.
Questa lontananza rende il mestiere di insegnante difficile e poco gratificante, le parole scritte sulla carta e spese a piene mani nei vari progetti hanno soltanto lo scopo di ridefinire i confini di un territorio in cui la coscienza dei valori si veste di nuovo e tenta di riconquistare quelle radici che nel tempo hanno perso la capacità di alimentare il senso del dovere e del discernimento tra ciò che è giusto e sbagliato, inutile o efficace per quei decantati obiettivi di cui le riforme scolastiche sono depositarie.
Questa enorme solitudine genera diffidenza e incomprensione, insegnanti e alunni spesso chiusi nel loro mondo sembrano lottare con i mulini a vento e scontrarsi più che incontrarsi.
Gli alunni più problematici sono quelli che prepotentemente attirano quell’attenzione che non hanno mai avuta, spesso chiedono di stare vicino all’insegnante e di essere guardati e accettati con occhi diversi, di venire accolti e seguiti in una vicinanza che li rende più sicuri e protetti, più sereni e capaci di comunicare.
Accogliendo questi alunni c’è la possibilità di comprendere il loro disagio, di stare insieme e di guardare dalla stessa parte, sorridendo magari sugli errori che rimangono sulla carta e, come per magia, possono avvicinare e non dividere.