Milano – Bande, retata tra i latinos

Tratto da Il Manifesto

Anche il sindaco Moratti invita i media a non enfatizzare: «La moda crea emulazione».
I sociologi: «E la profezia si autoavvera»

Manuela Cartosio
Milano

Una retata tira l’altra. Dopo Genova, anche Milano ha realizzato la sua operazione anti-pandillas, le bande rivali dei giovani latinos. 27 le ordinanze di custodia cautelare chieste dalla procura dei minori e da quella ordinaria, 18 gli arresti effettuati ieri all’alba. Ecuadoriani dei Latin Kings, peruviani dei Commando, tra i 16 e i 22 anni. Ai minorenni viene contestata anche l’associazione a delinquere, accusa saggiamente omessa dal gip del tribunale ordinario. «Una guerra di emarginazione per il controllo del territorio», dicono in Questura. Poi si scopre che il «territorio» sono tre panchine in un parco di periferia, una discoteca e un paio di stazioni della metropolitana. Da «marchiare» con i simboli della propria banda. Ma alla stazione Crocetta, che la mappa della polizia attribuisce ai Latin Kings, il graffito della corona a tre punte non l’abbiamo mai visto.
In un’inchiesta che allinea risse, furti per dispetto, esibizioni di bullismo – tutti avvenuti tra il 2004 e il 2005 – l’episodio più grave è il pestaggio di una ragazza peruviana, al quinto mese di gravidanza. Finita in aborto per i calci ricevuti da una decina di affiliati a Latin Kings.
Il prefetto di Milano Gian Valerio Lombardi plaude alla «bellissima operazione». Il sindaco Letizia Moratti – dimostrando sobrietà e acume – invita i media a non enfatizzare un fenomeno tutto sommato circoscritto: creare il mito negativo delle bande induce altri giovani a emulare «per moda» i pandilleros. «E’ la classica profezia che si autoavvera», afferma Daniele Cologna di Codici, l’agenzia di ricerche sociali che con «Comunità nuova» di don Gino Rigoldi sta studiando le «aggregazioni giovanili» dei latinos a Milano. Se il termine «bande» è fuorviante, perché allude a un’organizzazione strutturata e gerarchica, l’etichetta di «baby gang» è del tutto sbagliata. A Genova molti Latin Kings sono padri di famiglia, a Milano il fenomeno coinvolge soprattutto adolescenti che si appropriano di un «brand» transnazionale e ne «mimano» comportamenti e linguaggi. In entrambi i casi, non ci si mette insieme per «delinquere», ma per re-inventarsi un’identità scombussolata dalle migrazioni.
Cologna sottolinea un’altra differenza tra Genova e Milano. Nel capoluogo ligure, dove i Latin Kings hanno una relazione più stretta e codificata con il resto della «nazione», c’è una spinta a «uscire dalla clandestinità», a praticare il cosiddetto «modello Barcellona». A Milano, invece, è persino difficile distinguere i Latin King ufficiali dalle imitazioni, come i Chicago e i New York, nati da scissioni interne. Aggiungiamoci pure i Forever e i Soldatos latinos, ma la somma di tutte le sigle non supera il centinaio di pandilleros. Il resto sono «bande del muretto», del tutto simili a quelle dei giovani italiani.
Anche Maurizio Ambrosini, docente di sociologia delle migrazioni alla Statale di Milano, invita a «sdrammatizzare», a tenere sotto controllo «paure e ansietà» di una società ricevente che «usa le madri» e poi «scopre» che hanno dei figli. Che, arrivati in Italia già grandicelli, si sentono «stranieri dappertutto», tanto qua che in patria. Se persino tra gli «insospettabili» filippini stanno nascendo delle «bande» giovanili, significa che il fenomeno è strettamente connesso ai ricongiungimenti familiari. Fare di tutt’erba un fascio, dice Ambrosini, non aiuta loro e tanto meno noi. Le «bande» commetteranno anche delle illegalità, ma la maggior parte dei giovani migranti si mettono insieme per «ostentare» la propria esistenza. Bevono qualche birra di troppo, si fanno gli spinelli, marchiano con i graffiti i luoghi dove s’incontro, hanno un gergo e una divisa. «Proprio come i giovani italiani delle periferie urbane». E infatti nelle bande dei latinos ci sono anche italiani.
Il 19 giugno a Genova si terrà un convegno per «legalizzare» le pandillas. Nonostante gli arresti, i Latin Kings vogliono essere riconosciuti dal Comune come associazioni giovanili. «Un tentativo interessante», secondo Ambrosini. Funzionerà? «I pandilleros genovesi hanno fatto il primo passo, il prossimo tocca a noi».

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