Lettera aperta (a tutte le donne)

Come i grani di un infinito rosario contiamo le vittime di un delirio maschilista teso al possesso e alla supremazia, alla repressione di ogni forma di libertà e indipendenza, alla spinta di uscire fuori dal bozzolo di una prigione eretta in nome di un amore malato.
Le donne insorgono e manifestano la loro indignazione, rompono il silenzio e l’omertà nella quale la loro voce è stata per lungo tempo un richiamo inascoltato, segnali di un sacrificio eretto a memoria di amori violenti e narcisisti.
Contiamo i numeri, istantanee di sorrisi senza futuro, frammenti di vite non vissute sospese nel limbo della dimenticanza, tracce di un passaggio breve che le storie raccontano ancora a memoria di eventi tragici, il viaggio senza ritorno dal quale è impossibile tornare indietro. Il racconto diventa ogni giorno più crudo e doloroso nel dolore di chi resta e fa del ricordo la testimonianza costante di una lotta senza confini, il legame che unisce le vittime di un delirio di onnipotenza e prevaricazione.
L’indignazione e la rabbia sollevano rancori, risentimenti, la colpa di non essere giunti in tempo a evitare il peggio, a fermare la mano di una lucida follia che distrugge e annienta, il sordo e inutile desiderio di annegare nel vuoto dell’assenza i fantasmi di un malessere profondo.
L’ultima donna era ancora un germoglio di vita, le mani tese a un futuro di grandi speranze e desideri, la voglia di fare e agire, di sorridere e amare, di essere libera senza ricatti e condizionamenti. La società civile ha il compito di tutelare i più deboli, di salvaguardare i diritti estirpando le radici malate di un maschilismo deleterio e ancora dilagante nel tessuto sociale. Il Natale alle porte apre spiragli di luce nel buio
dell’assenza, promette doni di bontà e amore, invita a ridisegnare un futuro più giusto nella memoria di chi non ha più voce, anime che raccontano la loro storia e aspettano sempre di essere ascoltate, consolate e ricordate.

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