La perdita dell’animale domestico come autentico lutto

L’ animale domestico costituisce un elemento di relazione in grado di strutturare un prezioso legame di attaccamento, spesso insostituibile,  con l’essere umano.

L’ animale domestico- il riferimento va soprattutto al cane e al gatto, per quanto, ad onor del vero, la categoria degli animali definiti da compagnia si stia arricchendo anche di altre specie -mobilita intensamente le risorse emotive,  favorendo la costruzione di un legame affettivo in grado di preservare e potenziare la resilienza individuale anche di fronte a momenti di criticità (l’insorgenza di una malattia, una perdita affettiva, uno stadio evolutivo difficile da fronteggiare, un qualsiasi momento di crisi all’interno del percorso di vita).

È soprattutto la sua presenza , incondizionata e costante, a mostrarsi latrice di benefici relazionali solidi e securizzanti: l’animale domestico svolge in particolare una funzione affettiva autentica e non utilitaristica, in cui l’elargizione dell’affetto non è condizionata da nessun fattore compensativo. Si parla non a caso di abiding presence, ovvero di presenza non richiedente e accettante, sulla quale è sempre possibile contare.

In effetti è così. L’animale offre spontaneamente il proprio affetto, senza chiedere nulla in cambio. Come un amico fedele e devoto. Una figura attendibile in grado di fornire un benessere affettivo pieno e goduto.

IL VALORE DELL ’ANIMALE DOMESTICO

Sotto un punto di vista neurobiologico, la presenza dell’animale domestico favorisce la produzione di ossitocina, considerata l’ormone dell’amore, grazie alla quale viene limitata l’emissione di cortisolo – ormone dello stress- e potenziata quelle di serotonina e di dopamina, quest’ultime coinvolte negli stati di benessere e nella gestione speculare di stati ansiosi e depressivi.

Sotto un punto di vista più strettamente psicologico la presenza di un cucciolo offre conforto e sostegno in tutti quei contesti di solitudine ed isolamento dovuti a vecchiaia, disagi familiari o malattie, che rischiano di compromettere il benessere psicofisico, favorendo l’insorgenza di potenziali psicopatologie.

Sotto un aspetto relazionale, la presenza dell’animale domestico si mostra un fattore di investimento affettivo in grado di scaturire legami pari -o in certi casi superiore-  a quelli stabiliti con gli esseri umani.

È dunque ovvio che la sua perdita costituisca un classico evento di lutto- la cui durata, generalmente fissata tra le 2 e le 26 settimane circa, viene descritta con una sintomatologia che non si discosta da quelli dei lutti più canonici: iniziale disorientamento e mancanza di accettazione dell’evento; una fase di rabbia e disperazione in cui prevalgono condotte volte alla ricerca e alla rievocazione dell’animale; una fase di riorganizzazione complessiva, in cui il dolore per la perdita viene funzionalmente integrato nel Sé e convertito nella possibilità di un nuovo investimento affettivo.

UN LUTTO AUTENTICO O DI “SERIE B?”

È tuttavia necessario riconoscere che la perdita dell’animale domestico è ancora oggi propensa a subire una generale minimizzazione; una sorta di squalifica declassante, che lo colloca di fatto tra i dolori di seconda categoria…. potremmo dire di serie B.

Si parla nello specifico di disenfranchised grief, in riferimento ad un dolore che, per quanto profondo, non può essere espresso né condiviso, perché privo di un autentico legittimazione sociale.

Le ragioni IPOTIZZABILI?

  • l’impossibilità di stabilire con l’animale un rapporto consapevole e intenzionale tende a svalutare la qualità oggettiva della relazione e la perdita della stessa. Dunque perdere un cane non sarebbe come perdere in figlio, una madre o un altro soggetto affettivo, semplicemente perché l’animale domestico non possiede le capacità simboliche, logiche, emotive tipiche dell’essere umano;
  • si cerca di evidenziare una maggiore surrogabilità dell’investimento affettivo verso l’animale domestico: dunque, la morte di un cane presuppone la possibilità di acquistarne un altro in grado di sostituirne il ruolo e la funzione specifica, attraverso un’operazione implicitamente descritta come automatica, e per questo indolore.
  • Troviamo infine una tendenza a sminuire l’esistenza dell’animale, quasi a banalizzarla, in ragione di un antropocentrismo culturale che pone al primo posto la vita umana, rendendo periferiche, quasi satellitari, tutte le forme di vita alternative; quindi la morte dell’animale domestico, proprio perché riferita ad un essere non umano, non può e non deve rivestire l’importanza conferita alla perdita di quest’ultimo.

In realtà minimizzare la perdita di un animale domestico equivale al non riconoscimento empatico di una sofferenza profonda e destrutturante, causata dalla rottura di un legame che in certi contesti si rivela insostituibile.

Il dolore legato al lutto è talvolta così intenso che, per risultare sostenibile, necessita di un adeguato percorso supportivo svolto nel rispetto di una serie di condizioni:

  • VALIDARE IL DOLORE: cercare di soggettivarne il più possibile l’accadimento MORTE, rilevandone le circostanze specifiche, gli antefatti e le conseguenze, nonché il momento stesso dell’evento. il drammatico durante che il soggetto non è ancora riuscito a simbolizzare, e dunque a rendere narrabile.
  • SOGGETTIVIZZARE IL DOLORE: è necessario contestualizzare l’evento nella cornice personale di ogni individuo: ciò significa accertarsi delle sue capacità critiche e dei suoi punti di forza, della competenza adattiva e regolativa delle emozioni, della sua capacità di problem solving e del suo stile comunicativo. Al contempo sarà necessario capire in quale stadio evolutivo si è verificata la perdita, da quanto tempo e in quali circostanze, il ruolo occupato dall’animale nella vita del soggetto, il contraccolpo scaturito dalla morte, il sostegno sociale ricevuto. Utile anche indagare eventuali pregressi psicopatologici o psicopatologie ancora in corso, la cui presenza potrebbe compromettere il procedere del percorso supportivo;
  • NORMALIZZARE L’EVENTO: come in ogni accadimento di lutto, il soggetto deve sentirsi legittimato a provare dolore, percependo attorno a sé una cornice empatica in grado di garantire un ascolto non giudicante. È per questo necessario normalizzare lo stato emotivo, anche se di estrema sofferenza, cercando di delimitarlo in una dimensione spazio temporale che ne preveda la graduale diminuzione ( ad esempio si potrà normalizzare lo stato emotivo con frasi del tipo: “Tutte le altre persone che si sono trovate nella sua medesima situazione hanno sperimentato uno stato d’animo similare; sarà necessario attendere un adeguato lasso temporale attiva per decretare una parziale rallentamento della sofferenza”).
  • RIPERCORRERE IL DOLORE: Sfruttare le capacità creative, dando vita ad uno spazio psichico che renda possibile un ricordo positivo dell’animale e dei momenti belli trascorsi con lui. Una sorta di viaggio a ritroso nel quale sarà possibile rievocare quei contenuti mnestici difensivamente bloccati da un vissuto di negazione e non narrabilità; ad esempio si potrà chiedere di ricordare eventi di vita specifici o attività abituali (cosa faceva con lui?), o sfruttare la creatività, magari fingendo che l’animale sia ancora vivo e immaginare scenari di vita condotti assieme ( se il suo cane fosse qui adesso che cosa farebbe?); oltre alla narrazione attiva, è utile favorire l’utilizzo di un linguaggio evocativo fatto di metafore, simboli, memorie implicite, nel rispetto di quel vissuto essenzialmente non verbale –l’animale non ha capacità comunicativa esplicita- instaurato con lui;
  • SOSTENERE INCONDIZIONATAMENTE: creare uno spazio psichico di conforto e incoraggiamento privo di interferenze giudicanti, accettando anche i silenzi, i meccanismi di difesa, le impasses; TRASFORMARE IL DOLORE: è necessario conferire speranza e capacità trasformativa di un dolore in apparenza senza uscita, per sciogliere il legame libidico con un oggetto definitivamente perduto e favorire un nuovo investimento affettivo; proprio grazie ad un’adeguata capacità trasformativa sarà possibile trasformare il dolore in un vissuto meno angosciante e persecutorio, e affrancarsi così da un legame “disperante” con l’oggetto perduto.

L’intento sociale si sta muovendo verso una direzione sempre più tesa a legittimare l’esistenza del lutto per la perdita dell’animale domestico. Basti pensare che in America, in occasione di un simile evento,  vengono addirittura concessi dei giorni di congedo. Esempio che non è stato ancora seguito dai paesi europei e dall’Italia in particolare.

In attesa di una maggior sensibilizzazione in tal senso, sembra opportuno limitarsi a non minimizzare né banalizzare l’evento. Soffrire è un diritto non limitabile, data la sua natura profondamente soggettiva. Ciò rende lecito il rispetto verso qualsiasi tipo di dolore, soprattutto se  provocato dalla perdita di una presenza affettivamente saturante e arricchente come quella dell’animale domestico.

Nessuna inibizione, dunque. E spazio al dolore, per la perdita dei nostri piccoli amici a quattro zampe.

 

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