Morire di social

Questa “socialità asociale”, scusate il controsenso di parole, imperversa come una subdola malattia della modernità.
Lo schermo, attraverso il quale non si comunica ma si scaricano invettive, accuse, critiche e altro, diventa la carta assorbente di aggressività, pregiudizi e omofobia, un mare contaminato da anonimato e maschere di onnipotenza virtuale. Ormai la comunicazione diretta, il guardarsi negli occhi e fare dei gesti ed espressioni accompagnati da parole, considerazioni, idee e opinioni, è diventata una asettica forma di relazione, un canale interattivo spesso meccanico e privo di empatia e vera condivisione.
Si muore di social quando i ragazzi si isolano dalla realtà passando ore ed ore su internet assorbendo passivamente tutto quanto in esso si può trovare e scoprire, si muore di social quando la gogna mediatica decreta condanne di comportamenti e azioni personali diverse da quella “normalità” che accomuna spesso il sentimento comune di superiorità e anomala giustizia e onnipotenza.
Per sopravvivere non esiste l’isola felice dei buoni sentimenti in cui tutto diventa facile, giusto, vero, le dipendenze comunque si combattono perché l’omologazione virtuale rende tutti facili prede di un mondo fragile dove si alimentano paure, isolamento e desideri di distruzione. Il bullismo “on line” si maschera ogni volta di ipocrisia e falsità, mirando dove è più facile colpire, isolando le vittime e facendole sentire inadeguate e impotenti. Purtroppo l’istinto sociale di aggregazione, in questo contesto, diventa una guerra sottile e pervasiva, un’arma subdola in mano spesso ad anonimi detentori di verità assolute che si sentono appagati accogliendo nelle loro file nuovi adepti.
Si parla di nichilismo dei social network perché essi rappresentano dei vuoti contenitori in cui versare istinti repressi di ribellione inneggiando di volta in volta a nuovi idoli, costruzioni illusorie di un mondo sempre più lontano dalla realtà.

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